Se per la «seconda repubblica» quella delle larghe intese rappresenta una formula di governo recente la memoria condivisa, costruita da voti parlamentari bipartisan e benedetta dal Quirinale, si è configurata negli anni come paradigma consolidato.

Tutte le date della memoria sono state stabilite a larga condivisione, evidenziando come i partiti nati dal nuovo conio degli anni ’91-’94 abbiano sostituito con un loro calendario la narrazione della «prima repubblica», incentrata sulla retorica celebrativa della Resistenza, configurando uno spazio pubblico e un quadro politico totalmente de-storicizzato come evidenziano le risse segnate da confuse sovrapposizioni che alternano «boia chi molla» a «squadristi», «nuova resistenza» a «bella ciao», e che caratterizzano il dibattito tra maggioranza di larghe intese, destra berlusconiana inclusa, e opposizione grillina. Un parlamento così dovrebbe riscrivere la Costituzione.

Il tema dell’uso pubblico e politico della storia non è certo nuovo. In Italia però ha assunto un forma particolare contrapponendo l’eloquio formalmente polemico che ha accompagnato l’istituzione delle leggi sulla memoria ad una compatta e larga forma di «sostegno di necessità» sui nuovi metodi della divulgazione della storia patria finalizzati a garantire reciproco riconoscimento e concordia nazionale. Il passaggio dall’affermazione di questo metodo legislativo storico-memoriale alla sua estensione come prassi nella dimensione politico-contingente è risultato, in ultimo, quasi consequenziale.

Il giorno del ricordo però più di altre date ha diviso.

Il Presidente Ciampi, eletto bipartisan come il Napolitano II°, nell’ottica del riadattamento del discorso civile ai tempi nuovi della «seconda repubblica» si prodigò nel costruire una retorica neo-risorgimentale imperniata sul tema dell’unità nazionale e del patriottismo costituzionale, esercitando una “compressione” unitaria delle vicende storiche del paese che finì per accogliere nel pantheon condiviso anche il viaggio al sacrario di El-Alamein e lo spirito della legge del ricordo varata durante la sua presidenza.

Nel 2007 la prima celebrazione del 10 febbraio del Napolitano I° si aprì invece con uno scontro diplomatico con l’allora presidente croato Stipe Mesic che ricordò i crimini di guerra fascisti in risposta al Quirinale che aveva parlato di «pulizia etnica slava» contro gli italiani. Conflitto poi ricompostosi con l’incontro ufficiale di Napolitano con i presidenti Türk e Josipovic alla «Narodni Dom» di Trieste, incendiata dai fascisti nel 1920, che segnò quantomeno una discontinuità nella nostra rappresentazione pubblica nazionale.

Tuttavia la divulgazione storica è ampiamente delegata a fiction, scoop giornalistici, spettacoli teatrali e canzoni. Così la ricostruzione di una questione tragica e dolorosa come le foibe e l’esodo è affidata ad un profluvio di espedienti narrativi ad alta densità di pubblico e presentati con l’immancabile mantra del «finalmente luce sulla storia taciuta» che accompagna il nuovo linguaggio di trasmissione storica scelto dalla comunicazione politica. Di contro resiste solido il muro innalzato sui crimini degli «italiani brava gente» e sull’impunità garantita dalla «repubblica antifascista» ai massimi vertici militari del regio esercito.

Come chiosa sull’interpretazione tutta italica della «memoria condivisa» è sempre utile ricordare come a tutt’oggi manchi la pubblicazione ufficiale, con tanto di timbri dello Stato, dei risultati della commissione italo-slovena istituita dai governi di Roma e Lubiana e formata in pari rappresentanza da storici dei due paesi. In Slovenia è stato fatto.

Nella relazione finale, pubblicata da Editori Riuniti, si documentano il «fascismo di frontiera» degli anni ’20, i crimini italiani in Jugoslavia, la deportazione di quasi 100.000 jugoslavi in campi d’internamento fascisti, le foibe e le violenze jugoslave del settembre ’43 e maggio ’45, fino all’esodo degli italiani. È probabilmente per questo che siamo a ancora in attesa della presentazione ufficiale di quelle carte nel nostro paese. Magari in un prossimo giorno stabilito per legge.