Nel 2003 intimava ai vigili di Adro di mostrargli la delega d’indagine del magistrato che si occupava della sua ditta di smaltimento rifiuti. Nel 2004, appena eletto sindaco, nominava gli avvocati del Comune che dovevano costituirsi proprio contro la sua azienda accusata di inquinamento, la Elg, che trattava rifiuti pericolosi liquidi.
Oscar Lancini il suo volto oscuro l’ha mostrato fin da subito. Prima che scoppiassero i casi che l’hanno portato alla ribalta della cronaca nazionale. Un lato duro fatto di conflitti di interesse, uso disinvolto delle cariche pubbliche, inchieste giudiziarie oscurate dalle crociate contro immigrati e sindacalisti. Un volto spietato, concreto, tipico di certi imprenditori del nord, in particolare degli imprenditori dei rifiuti. Lo chiamavano «sceriffo», al telefono, i costruttori amici cui aveva affidato i lavori dell’area feste per cui è stato arrestato ieri. E sceriffo doveva sentirsi nell’estate del 2003 quando scriveva «nella qualifica di consigliere comunale, nonché Capogruppo della Lega Nord», di poter prendere visione della delega di indagine che un magistrato bresciano aveva inoltrato alla polizia locale: «Con la presente sono a diffidarla chiedendole di adempiere alla richiesta entro dieci giorni» tuonava Lancini, preoccupato per la sua ditta che presto sarebbe stata sottoposta a sequestro.
Quel documento soggetto al segreto istruttorio, diceva, gli serviva «per esercitare attività di indirizzo e controllo» legato alla sua carica di consigliere. Fino ad allora Lancini non aveva chiarito, in paese, se ricoprisse un ruolo in quella ditta di smaltimento rifiuti in seguito travolta dalle inchieste. Ma Lancini era ed è sempre stato socio insieme ai famigliari, da quando è entrato in politica, della Elg. In quel processo per inquinamento fu prescritto e i suoi famigliari ebbero assoluzioni in primo grado, tutte a prescrizione già intervenuta. Una sola sentenza definitiva: quella con cui la Cassazione nel 2010 ha condannato la Elg a risarcire 20 mila euro di Ici non pagata al Comune di Adro.

La storia infinita dei rifiuti tossici di Adro si è riaccesa il 23 maggio scorso, con il sequestro dell’azienda che ha rilevato l’impianto della Elg, ceduto nel 2009 dai Lancini a un’altra ditta: la Vallesabbia Servizi, di cui è responsabile tecnico il fratello del sindaco, Luca. Passaggio di consegne curioso, avvenuto a un’asta fallimentare cui si è presentato un solo offerente. Appena riaperto, l’ex impianto dei Lancini ha ricominciato a creare i problemi di un tempo: esalazioni tossiche e malori. Tutti esposti e denunce depositate presso il Comune di Adro, che però, secondo il magistrato che ha chiesto il sequestro della Vallesabbia Servizi, non ha fatto nulla per tutelare la salute dei cittadini e ha tenuto «un comportamento, eufemisticamente parlando, di passività e inerzia». In agosto la ditta è stata dissequestrata, ma c’è un giallo che riguarda la segnalazione di scarichi anomali provenienti dalla fognatura cui è allacciato l’impianto che smaltisce rifiuti pericolosi. Valori di rame, zinco e piombo anche migliaia di volte superiori ai limiti. Analisi mai arrivate, secondo Legambiente, sul tavolo degli enti di controllo.

Ma la vicenda ventennale di interessi nei rifiuti non riesce a entrare nel dibattito dell’opposizione. E in paese sembra esserci la consegna del silenzio.