Abu Mazen non è un antisemita. La sua storia politica e personale – nel 2014 ‎condannò l’Olocausto come il crimine più odioso in risposta a chi gli ‎contestava le tesi contenute del suo controverso dottorato su Israele – dice non è ‎contro gli ebrei e neppure contro lo Stato di Israele con il quale, invano, ha cercato ‎di raggiungere un accordo per 25 anni. Piuttosto il presidente palestinese è uno ‎‎”stolto”, e abbiamo scelto un termine soft al posto di altri più appropriati. Uno ‎stolto per ciò che ha detto sulle ragioni dietro l’Olocausto nel suo discorso a ‎Ramallah davanti al Consiglio nazionale palestinese. Uno stolto per i danni ‎d’immagine, e non solo, che ha provocato al suo popolo, esposto ieri ad accuse ‎ingiuste, senza fondamento, da parte di chi non perde occasione per disumanizzarlo. ‎Abu Mazen da lungo tempo è inadeguato alla carica di presidente del popolo ‎palestinese. E con quest’ultima uscita ha confermato di essere dannoso per la sua ‎gente. Se fosse nel pieno delle sue facoltà capirebbe che l’unica soluzione è farsi ‎subito da parte e lasciare ad altri il compito di ridefinire strategie e politiche volte a ‎liberare i palestinesi.‎

‎ All’inizio del suo discorso Abu Mazen ha fatto riferimento al Sionismo e alla ‎creazione dello Stato per gli ebrei come a un progetto coloniale. Su questo il ‎dibattito storico in effetti è aperto da lungo tempo. Persino alcuni accademici ‎israeliani ebrei di fama internazionale, come Ilan Pappè, affermano che il Sionismo ‎fu un movimento coloniale e non solo nazionalista come invece, per decenni, ha ‎ripetuto la storiografia ufficiale. Poi Abu Mazen ha dato a chi lo ascoltava quella ‎che ha descritto come una «lezione di storia» affermando che lo sterminio degli ‎ebrei, l’Olocausto, non fu causato dall’antisemitismo di Hitler e dei nazisti ma dalla ‎‎«funzione sociale‎» degli ebrei legata alle loro professioni che riguardavano il ‎prestito di denaro e le banche‏.‏‎ Un classico stereotipo antisemita che ha scatenato ‎reazioni a raffica, in Israele e in Occidente. Abu Mazen che guarda all’Europa ed agli ‎Usa per garantire la sopravvivenza dell’Autorità nazionale palestinese impopolare e ‎sottomessa a Israele, non sa che questi temi toccano le corde più sensibili in ‎Occidente. Ha scatenato la hasbara (la diplomazia pubblica) israeliana con il suo ‎comportamento abituale: non ascolta, non si consulta prima di agire, non tiene in ‎considerazione le decisioni degli organi istituzionali palestinesi. Ai membri del ‎Consiglio Nazionale che si è riunito lunedì a Ramallah, Abu Mazen non avrebbe ‎dovuto dare delle ‎«lezioni di storia» ma annunciare nuove strategie alternative agli ‎Accordi di Oslo, la volontà di andare ad una riconciliazione vera e defintiva fra tutte ‎le fazioni politiche palestinesi. Avrebbe dovuto proporre nomi nuovi per rinnovare ‎la leadership, chiedere spazio per i rappresentanti del movimento popolare ‎palestinese che vediamo in azione in queste settimane a Gaza. Avrebbe potuto ‎dichiarare la fine del suo embargo di Gaza – basta quello israeliano ed egiziano – o, ‎rispettando ciò che da anni gli chiede la sua gente, sospendere la cooperazione tra i ‎servizi segreti dell’Anp e di Israele. In assenza di tutto ciò le sue dichiarazioni ‎secondo cui la strada per lo Stato palestinese passerà attraverso la lotta popolare non ‎armata in parallelo con passi diplomatici, non solo altro che frasi cerimoniali.

‎ Il primo ministro israeliano Netanyahu, invitato a nozze, lo ha fatto a pezzi. ‎«A ‎quanto pare il negazionista dell’Olocausto è ancora un negazionista dell’Olocausto. ‎Invito la comunità internazionale a condannare il grave antisemitismo di Mahmoud ‎Abbas (Abu Mazen). Con un picco di ignoranza e faccia tosta, ha dichiarato che gli ‎ebrei d’Europa non son stati perseguitati perché ebrei, ma perché prestavano denaro ‎su interesse», ha detto Netanyahu, che sa bene che anche per questi temi passa la ‎demolizione dei diritti dei palestinesi. Qualche anno fa Netanyahu definì il mufti ‎islamico di Gerusalemme Hajj Amin al Husseini, un accanito oppositore della ‎fondazione di Israele, l’ispiratore della “soluzione finale”, lo sterminio del popolo ‎ebraico messo in atto da Hitler. Una tesi smentita da storici israeliani ed ebrei ma ‎che ha lasciato il segno. Simili le condanne giunte da altri esponenti israeliani. Poi è ‎stata la volta dell’amministrazione americana, con la quale i palestinesi hanno rotto i ‎rapporti dopo che in dicembre Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale ‎d’Israele. ‎«La pace non si può costruire su queste fondamenta‎», ha scritto su Twitter ‎l’inviato americano per i negoziati, Jason Greenblatt. L’Unione europea da parte sua ‎ha detto di considerare “inaccettabili” le dichiarazioni fatte dal presidente ‎palestinese. ‎«Questa retorica – ha scritto l’Ue – farà soltanto il gioco di chi non ‎vuole una soluzione con due stati, che Abbas ha ripetutamente sostenuto‎». ‎