Una donna di poco più di cinquant’anni, affetta da una gravissima forma di disabilità intellettiva di origine organica è la protagonista-paziente non nevrotica dell’ultimo lavoro di Franco Lolli dal titolo: Prima di essere io: il vivente, il linguaggio, la soggettivazione (Orthotes, pp. 174, euro 18,00). Liliana è una donna-gatto. Il trattino congiunge il femminile e il maschile in uno strano neutro: quello che dà corpo al «prima» di ogni differenza, anzitutto quella tra soggetto e vivente, secondariamente quella tra umano e non umano.

Se infatti nella psicoanalisi, come suggerisce Federico Leoni nell’introduzione, «soggetto» significa «analizzabile» e «umano» è sinonimo di «penetrabile», dal logos come dalla luce, allora Liliana, la donna-gatto, non è né un soggetto, né un umano. Liliana è perturbante, vivente prima che parlante: è il «punto di angoscia della psicoanalisi», al tempo stesso cieco e luminosissimo. È l’ombra che segue, gattonando, ogni sguardo che s’affretta in una diagnosi («stereotipia motoria») e la vuole risolutiva.

È la bocca che mangia tutto d’un fiato («pura pulsione orale») ogni mano che vorrebbe solo lasciarla fuori: fuori dei confini dell’analisi, entro l’insufficienza mentale di una cartella clinica scritta nel linguaggio della medicalizzazione. Liliana scompiglia l’ordine, sociale e psicoanalitico, antropologico e logico, e disturba la cronologia. Tuttavia, «refrattaria all’umano e al teorico», dunque alla parola, Liliana non è refrattaria del tutto al significante. Non ancora semantica, Liliana infatti è già linguistica, assolutamente reale.

«Senza parole e con gli occhi sgranati», Liliana è perfetta, anche se la sua disabilità è grave: non è un’anima bella, bensì un’anima vegetativa, presente anche in quella sensitiva del gatto e in quella intellettiva dell’uomo. Perciò di ogni soggetto Liliana è un esempio e ogni soggetto è un esempio di Liliana. La donna-gatto è paradigmatica perché quel fermo immagine che è la sua «ardesia immacolata» è un’occasione reale per analizzare la psiche, prima che sia tale e una volta che tale si è fatta. «La sua condizione patologica enfatizza (…) la situazione primordiale dell’umano nell’istante in cui prende avvio il processo di soggettivazione, istante che per Liliana si è tramutato in un tempo senza fine». Da dove viene Liliana? Questa è la domanda chiave del testo: infantile e infallibile poiché in essa risuona la domanda delle domande, autentica Urfrage secondo Lolli: «da dove vengono i bambini?» o, che è lo stesso, «cosa ero prima di essere io?», «cosa c’è prima della coscienza?».

Il volume è un tentativo rigorosissimo di pensare lo statuto del «prima»: prima dell’Io, prima della parola, prima della risposta, prima della condotta, prima dell’uomo. Il «prima» è logico o cronologico? Reale o mitico? Che cosa significa cioè «primordiale»? Lolli prova a pensare lo statuto del prima a partire dal dopo, bordeggiando la superficie, topologica e pulsionale, del delta del tempo in cui Freud conficca la «necessità del vivere». La vita di Liliana è intransitiva, senza transfert, senza l’altro (Liliana non è stata «l’altro di qualcuno»).

Antidialettica e autoerotica, non è stata stanata dall’allucinazione. Vittima dell’oggetto come di un padrone assoluto, la donna-gatto è lì, prima della parola, olofrastica e immobile. Eppur si muove. Dopo un tempo aprioristicamente incalcolabile, questa creatura dell’intervallo «arresta il suo vagare e si mette in cerchio con noi – scrive Lolli in conclusione. – Questo, abbiamo pensato, vorrà pur dir qualcosa».