Il cinematografo degli albori non ha avuto diffusione omogenea ma si è insinuato in quelle pieghe del paese contraddistinte da una base culturale predisposta al nuovo. Quel nuovo, rappresentato dal progresso tecnico, che meglio era stato assimilato da popolazioni pronte a cogliere le opportunità che il Ventesimo secolo, schiudendosi, portava con sé. Sarebbe stata la geografia dunque, in un paese come l’Italia dal territorio multiforme, a sostanziare le differenze fra regioni. Nel sud della penisola era emersa la Puglia (o Puglie, per i diversi popoli che l’hanno abitata) con un ceto imprenditoriale vivace e aperto alle contaminazioni. E il cinematografo, di fresca invenzione, a fine Ottocento, aveva contaminato rapidamente usi e costumi di città e contrade regionali. Uno studioso leccese di storia del territorio, Michele Mainardi, che da un paio di decenni affronta con rigoroso impegno i temi della modernizzazione e delle realtà urbane in trasformazione, si è cimentato in un’iniziativa editoriale d’ampio raggio relativa alla cinematografia dei primordi sviluppatasi nella regione. Ne ha ricavato un saggio di 600 pagine, dal taglio storico-culturale, il cui contenuto è riassunto nello stesso titolo: “La storia del cinematografo nelle Puglie – Dai Lumière alla grande guerra”, con introduzione di Gian Piero Brunetta, ordinario di Storia e critica del cinema, (Edizioni Grifo), promosso dai collegi provinciali dei geometri di Lecce, Bari e Foggia.

L’avvento di mezzi di locomozione come l’automobile e l’aeroplano, l’invenzione di manufatti come la macchina dattilografica e il fonografo, fungono da premessa, nel testo, alla trattazione delle origini ed espansione del cinema. Sebbene siano già stati condotti studi, sul cinematografo, relativi a specifici àmbiti regionali, era mancata finora una ricerca organica che analizzasse attraverso microstorie municipali questo tipo di spettacolo. E comunque, di esso, non esisteva alcuna ricostruzione storica in una regione come la Puglia. Il saggio si snoda nella narrazione di queste microstorie, ciascuna delle quali è un capitolo a sé, che si innestano nella disamina sia dei luoghi in cui sono sorte le prime sale sia dei personaggi che hanno operato nel settore in maniera artigianale e talvolta approssimativa. In molti casi gli spazi dedicati allo spettacolo cinematografico non erano sale deputate alla proiezione di film, ma locali precari o provvisori da riciclare per le diverse occasioni d’intrattenimento che via via si presentavano. La cosiddetta macchina delle “meraviglie in movimento”, definita più tardi “settima arte”, funzionava spesso dentro anguste baracche in legno erette nel volgere di brevissimo tempo a ridosso di vetusti monumenti dei centri storici oppure all’interno di carrozzoni ambulanti al seguito di circhi e di compagnie itineranti a vincolo familiare il cui spostamento era dettato dal calendario di fiere, mercati paesani e feste patronali. Si avviavano altresì nuovi ruoli professionali, ma meglio, sarebbe opportuno dire, figure di mestieranti o comunque di soggetti che, intrapresa la strada nella quale s’intravedeva l’affare commerciale, si avventuravano nell’inedita attività di impresari di cinema ambulanti e di gestori di sale.

Vengono indagate le diverse tipologie di sale che cominciavano a edificarsi e la cui onomastica stava a indicare ora edifici preposti alla mondanità (Kursaal), ora teatri per la rappresentazione di spettacoli di vario genere (Politeama), ora complessi di notevole rilevanza monumentale (Alhambra). Ambiti che, in comune, proiettavano film. Non mancavano le primissime forme di culto divistico, espresse dal cinema muto. D’altronde il cosiddetto star system, per il lancio e la promozione del divismo, ha radici negli anni Dieci, poco prima dello scoppio della grande guerra che, nonostante agisca da spartiacque, peraltro non frenerà l’evolversi del fenomeno promozionale dei personaggi dello spettacolo. Preziosa fonte d’informazione degli accadimenti, grandi e piccoli, del cinema pionieristico di provincia sono i ritagli giornalistici d’epoca che arricchiscono con schede gustose il testo. Il filone di storie locali cinematografiche è stato avviato ormai da decenni attraverso mostre, convegni e pubblicazioni. Il libro di Mainardi non ne è riduttivo epigono, ma caposaldo di contributi minuziosi per approfondire la conoscenza della materia.