Il sole picchia già forte in questo spicchio d’aprile che volge prematuramente all’estate, e sugli spalti del Giarrusso ci si sente indifesi, come i calciatori in campo nei confronti di quei buontemponi che hanno pensato bene di bruciare le reti, alla vigilia del rush finale del campionato, per evitare che il bomber D’Auria portasse a compimento, gonfiandole, il sogno di chi non ha voluto arrendersi alla realtà di una città consegnata alla camorra: far vincere il campionato alla «squadra delle guardie», come è spregiativamente appellata dai tifosi avversari la Nuova Quarto per la legalità sui campi di calcio della sterminata periferia partenopea nei quali si trova a giocare.

Lo stadio di Quarto confina con il cimitero. È come in una conca, circondato da collinette amene punteggiate da villini dai quali, con un buon cannocchiale, si potrebbero seguire le gesta dei campioncini locali. Parrebbe di stare in qualche paese centroamericano, invece siamo nell’area più interna dei campi flegrei, tra Pozzuoli e Giugliano. Il prato dello stadio San Paolo, che tutti i calciatori della squadra locale ambiscono a calpestare almeno una volta nella vita, è al di là delle colline verso il mare, ad appena nove chilometri. Il Napoli di Cavani e Hamsik è ormai a un passo dalla qualificazione in Champions League, e drizzando le orecchie nei giorni delle sfide più importanti si crede di ascoltare il boato della folla trasportato dallo scirocco, allo stesso modo in cui avvicinando una conchiglia al padiglione auricolare si pensa di sentire l’eco del mare.

Progetto culturale

Un altro sogno si sta realizzando in questa cittadina di 40mila abitanti dell’estrema periferia nord di Napoli: quello di un pugno di giovani sottratti alla legge della strada e coinvolti in un progetto che li pretende alieni da ogni caduta nell’illegalità, di una squadra strappata di mano alla camorra e restituita alla cittadinanza, di un progetto che prima ancora che calcistico è politico e culturale.

A Quarto tutto è commissariato: la società di calcio e pure il Comune. Non è la prima volta che un’amministrazione comunale da queste parti non riesce a portare a termine il suo mandato e viene licenziata d’ufficio a causa di infiltrazioni camorristiche: il sindaco Massimo Carandente Giarrusso si è dimesso un anno fa, pur non essendo indagato, dopo una perquisizione nella sua abitazione e un’inchiesta giudiziaria che ha visto coinvolti, tra gli altri, il capogruppo consiliare del suo partito, il Pdl, e un altro consigliere della lista Noi Sud, sempre di centrodestra. L’aula consiliare è intitolata a Peppino Impastato, vittima della mafia, e a leggere le motivazioni dello scioglimento del consiglio comunale c’è da impallidire: nelle stanze dedicate al giovane attivista siciliano torturato e fatto saltare per aria sui binari della ferrovia Cinisi-Palermo si perpetuava proprio il malaffare contro il quale esso si batteva: appalti affidati a società in odore di camorra, licenze edilizie facili, autorizzazioni per centri commerciali sospetti.

È per questi motivi che qui la democrazia è sospesa, ma in pochi paiono darsene cura. Per assuefazione, per scarsa abitudine alla mobilitazione, perché cambiare le cose alla radice vorrebbe dire essere, alla lettera, radicali, pronti a scontrarsi con le forze della conservazione e degli interessi malavitosi, e in pochi sono disposti a farlo. Di sicuro sono radicali i ragazzi del collettivo Quarto Mondo, che hanno occupato e reso viva una tensostruttura costata 700mila euro di soldi pubblici e poi consegnata al degrado, rischiando di vedersela bruciare in un attentato misterioso. Può fregiarsi del rivoluzionario aggettivo anche quel gruppetto di pionieri che ha deciso di farsi affidare la squadra di calcio sequestrata perché governata dal clan egemone in quest’area e di farne un progetto politico e culturale, per dimostrare che è possibile andare avanti, e vincere, non con un uomo solo al comando com’è stato fino a ieri bensì con un progetto di proprietà collettiva.

Maradona jr, il figlio di papà

Al Giarrusso reti nuove di zecca hanno sostituito quelle bruciate, sulla tribuna è stato issato un vessillo giallo dell’associazione antimafia Libera che stona con i colori biancazzurri della squadra. Il campo è recintato in maniera da evitare altre goliardate e la vigilanza è affidata ad alcune telecamere messe a registrare in maniera asettica tutto ciò che accade su un prato sintetico che rende ancora più aspro il caldo precoce. Come spesso accade nel sud Italia, alla bellezza dei luoghi fa da contraltare un disordine urbanistico in cui i punti di riferimento diventano un supermercato più grande di altri, le rotonde, il cimitero, il campo di calcio. È un caos figlio non solo del troppo assolutorio individualismo latino, ma soprattutto di una politica edilizia regolata dalle clientele.

L’amministratore unico della Ssd Quarto si chiamava Castrese Paragli ola, e come molti cacicchi meridionali aveva il pallino del calcio. Il suo quarto d’ora di notorietà lo aveva conquistato il giorno in cui acquistò Diego Armando Maradona. Non quell’uomo riccioluto tutto genio e sregolatezza che aveva ipnotizzato Napoli con le sue magie, ma un giovane che portava lo stesso nome con una minuscola postilla: jr. Era il frutto, tardivamente riconosciuto, di una scappatella dello scapestrato pibe de oro con una ragazza napoletana, Cristina Sinagra. Ci avevano sperato, a Napoli, che il più grande talento che il calcio abbia mai conosciuto potesse essere clonato, e il piccolo Diego lasciava ben sperare che il miracolo potesse compiersi: uguale al padre, «tale padre tale figlio» è un’espressione proverbiale cui è riconosciuta, da queste parti, validità accertata. Ma alla fine avevano dovuto tutti arrendersi all’evidenza: saranno anche stati due gocce d’acqua, ma come in un figlio illegittimo di un nobile può accadere che non scorra un goccio di sangue blu, così dal piede sinistro del rampollo del pibe de oro era completamente assente la poesia. Non durò molto, la speranza in Diego Armando Sinagra. Non è durato a lungo nemmeno il presidente Castrese Paragliola che, portando Maradona jr a Quarto, aveva pensato di imitare il presidente del Napoli Corrado Ferlaino che aveva acquistato suo padre dal Barcellona. Due anni fa è finito nella polvere, accusato di agire in nome e per conto del clan Polverino di Marano, i cui capi gestivano le attività criminali da una dorata latitanza spagnola.

Gianfranco Colonna è il segretario della Ssd Quarto, la società sequestrata al vecchio presidente e mantenuta in vita grazie a uno stratagemma: costituire la Nuova Quarto per la legalità al fine di farsi affidare la squadra una volta che arrivi la confisca. Colonna è un ex operaio dell’Agip, ora in pensione. «Ho lavorato con tutti i presidenti, ma questa volta è molto diverso. Prima c’era un padre padrone, ora invece si fanno le assemblee e si cerca di coinvolgere le persone. È un lavoro non facile, se non ci fossero stati Cuomo e Catalano a quest’ora sarebbe tutto finito», dice mentre i giocatori si allenano e provano schemi sotto il sole battente.

Ha ragione: Cuomo e Catalano sono gli inventori di questo piccolo miracolo. Luca Catalano è l’amministratore giudiziario nominato dalla Dda per controllare la vecchia società, Luigi Cuomo è invece la mente della Nuova Quarto per la legalità. Presidente dell’associazione antiracket Sos Impresa, ha già vinto la prima sfida, affatto scontata: rifondare la squadra di calcio sottratta ai clan con il coinvolgimento di cittadini, piccoli imprenditori e dei calciatori che hanno accettato la sfida, portarla a vincere sui campi più difficili della provincia, riconsegnare lo stadio – sostanzialmente privatizzato dalla vecchia amministrazione – alla fruizione pubblica. Ora bisognerà vincere la seconda, che non riguarda solo la prosecuzione del progetto e l’assegnazione definitiva della squadra, ma il coinvolgimento economico della parte sana della città. «Pensiamo a quote sociali che non superino i 5mila euro», spiega Cuomo, una sorta di azionariato diffuso con la garanzia della Banca Etica per affrontare il prossimo campionato. Per il momento la Nuova Quarto può contare sul sostegno dell’associazione Libera e della Coop, uno sponsor di caratura nazionale che ha contribuito a finanziare parte dei 200mila euro necessari a coprire le spese vive di un campionato sia pur minore come quello di Promozione. Anche perché, con il Napoli a pochi chilometri di distanza e le dirette televisive che hanno svuotato gli stadi minori, sugli spalti del Giarrusso si contano non più di qualche centinaio di persone, e far pagare il biglietto d’ingresso equivarrebbe a giocare a porte chiuse.

In realtà, in questa storia c’è anche un altro protagonista. Si tratta di Antonello Ardituro, un magistrato della Procura distrettuale antimafia di Napoli. È stato lui a credere nel progetto presentato da Cuomo e dagli esponenti dell’antiracket di Quarto, e ne è rimasto coinvolto a tal punto che lo si è visto sugli spalti dell’unica tribuna del Giarrusso a tifare per i biancazzurri e a esultare come un ragazzino per la doppietta del bomber D’Auria, salito così a quota 25 gol. Due in più di Cavani, e pazienza per la differenza di categoria.

I calciatori

Roberto D’Auria non è solo il protagonista dell’eccezionale – in tutti i sensi – stagione della Nuova Quarto. È uno dei giocatori con maggiore esperienza e un leader anche fuori dal campo, come la consuetudine giornalistica usa dire in queste occasioni. Ha giocato pure in serie superiori, in mezza Italia, prima di accettare di essere coinvolto nel progetto anticamorra: «Mi hanno chiesto se volevo farne parte e ho accettato volentieri. Ma non pensavo che ci sarebbe stata tanta attenzione mediatica», dice. Per entrare a far parte della Nuova Quarto non basta essere dei giovani talenti o dei navigati corsari delle serie minori: è necessario sottoscrivere un codice etico che prevede una fedina penale intonsa e un comportamento ineccepibile dentro e fuori dal campo. Un solo giocatore finora è stato allontanato: aveva ricevuto un Daspo perché coinvolto in incidenti tra ultras durante una partita del Napoli. Il regolamento interno, affisso come i dieci comandamenti negli spogliatoi sulla parete dirimpetto a quella in cui campeggia la scritta «viva Gesù», è ferreo: 30 euro di multa per chi litiga con un compagno, 75 se la vittima è l’allenatore; 50 euro per chi sottrae abbigliamento o attrezzature della società, allontanamento immediato per chi è sorpreso a rubare soldi o oggetti dagli spogliatoi.

[do action=”citazione”]Tutti i calciatori sono regolarmente contrattualizzati – cosa che, a sentire loro, nelle serie minori non accade quasi mai[/do]

In compenso, tutti i calciatori sono regolarmente contrattualizzati – cosa che, a sentire loro, nelle serie minori non accade quasi mai. La media degli stipendi è di un migliaio di euro al mese, anche se – come tra i colleghi delle serie maggiori – c’è chi guadagna abbastanza bene da viverci e chi invece riesce a strappare non più di 300-400 euro al mese. L’altro attaccante Luca Tucci, smessa la tuta, fa il pompiere, quasi tutti studiano, più di uno è disoccupato, e il trequartista Franco Palma nei mesi estivi si dà al beach soccer. Per molti, da queste parti, fare il calciatore nelle serie minori può essere persino considerato un buon impiego: «Di questi tempi si guadagna più con il calcio che con il lavoro», commenta D’Auria. Ma forse non è solo per questo che agli allenamenti non manca mai nessuno: cinque volte a settimana, più la partita del week end. Un impegno di non poco conto.

Il mister Ciro Amorosetti, che nella vita fa l’insegnante, è molto esigente sul piano disciplinare e della preparazione atletica. Insieme a lui segue i ragazzi Massimo Assante, che fece da secondo portiere al «giaguaro» Luciano Castellini in un Napoli dell’era pre-Maradona, agli inizi degli anni Ottanta. Amorosetti non sarà Zeman che fa scalare ai calciatori i gradoni dello stadio, però porta i suoi ragazzi su una stradina in pendenza cui si accede da un’uscita laterale dello stadio e li manda a sgobbare in una palestra ricavata sotto la tribuna: pavimento in cemento, pareti di blocchi imbiancate con uno spruzzo di calce e tanti pesi e flessioni. Siamo lontani dalla soap opera delle dirette Sky dagli spogliatoi della serie A, ma probabilmente più vicini alla natura più autentica, popolare, del football.

Anche se, negli spogliatoi, non si parla d’altro che dei più fortunati calciatori del Napoli: Hamsik su tutti, anche se il mister non la smette di elogiare l’intelligenza tattica e le capacità atletiche dello svizzero-kosovaro Valon Behrami da Mitrovica, la città inesorabilmente spaccata in due da un fiume e da un devastante conflitto etnico con i serbi dell’altra sponda.

Le minacce

Nessuno dei giocatori del Quarto crede che l’animosità con la quale gli avversari li contrastano su ogni campo sia frutto di premeditazione. Più che altro, sostengono, sono l’attenzione mediatica attorno alla squadra anticamorra e il fatto che è prima in classifica a moltiplicare l’agonismo degli avversari. A Villa Literno il «dirigente unico» Cuomo ha perso la pazienza e ha denunciato, esasperato: «Ogni trasferta si trasforma in una sorta di caccia all’uomo nei nostri confronti». Inoltre, «per i tifosi ospiti siamo la squadra delle guardie, degli sbirri», ed è risaputo che le forze dell’ordine negli ambienti del tifo non sono particolarmente amate. Non aiuta a cancellare lo stereotipo il fatto che, proprio in virtù della particolarità della Nuova Quarto e delle intimidazioni ricevute, a ogni partita si debbano dribblare non solo gli avversari ma pure i blindati della polizia inviati a garantire la sicurezza e l’incolumità dei calciatori.

[do action=”citazione”]Fin dall’inizio, la squadra è stata bersagliata da atti vandalici, ultimo dei quali l’incendio delle reti[/do]

Fin dall’inizio, la squadra è stata bersagliata da atti vandalici, ultimo dei quali l’incendio delle reti, appunto. Ma l’intimidazione più pesante è stata quando, il 27 gennaio scorso, un gruppo di ignoti – almeno quattro, secondo gli inquirenti – ha sfondato una grata di ferro massiccio ed è entrata nella segreteria, rubando trofei e gagliardetti, ultimi quelli di un trofeo della legalità e di una partita con una rappresentanza dell’Associazione nazionale magistrati, e lasciando perdere ogni altra cosa di valore. «Volevano mandarci un segnale, si tratta di una rappresaglia», dicono tutti, ed è difficile dare loro torto.
È per questo che, dovesse vincere il campionato, la Nuova Quarto sferrerebbe un colpo al cuore al senso di onnipotenza dei boss, al loro narcisismo e alla sensazione che nulla si possa costruire senza i loro soldi e capacità di comando. Le squadre di calcio sono un potente strumento di cattura del consenso, è attraverso di esse che le mafie fanno politica, come hanno scritto i magistrati reggini dell’inchiesta «All Clean» che portò un anno fa al sequestro di altre due società calcistiche di serie D,  l’Interpiana e il Sapri, entrambe appartenenti, attraverso dei prestanome, al clan Pesce di Rosarno.

Lo sanno bene i magistrati della Dda di Napoli e i dirigenti della Nuova Quarto, ed è per questo che il pm Ardituro era sugli spalti a tifare per la squadra del mister Amorosetti. Perciò la partita che si giocherà questo pomeriggio nella vicina Mugnano sarà ben altro che una delle tante sfide nella periferia del calcio che conta. Si tratta di dimostrare che, come recita lo slogan della squadra anticamorra, «con la legalità si vince sempre».