Otto marzo 2019. Milano, giardini pubblici intitolati a Indro Montanelli. Le femministe di Non Una Di Meno versano vernice rosa sulla statua del giornalista che, di conseguenza, sembra investita da una gigantesca diarrea di piccioni. L’azione è rivendicata come riscatto della bambina eritrea che il giornalista comprò come moglie durante la guerra in Etiopia fra il 1935 e ’36. Fu lo stesso Montanelli a raccontare la vicenda con sottinteso compiacimento e in più occasioni. A Gianni Bisiach nel ’69 disse: «Era una bellissima ragazza di 12 anni. Scusatemi, ma in Africa era un’altra cosa». A Enzo Biagi, nell’82: «Non mi prendere per un Girolimoni perché a 12 anni quelle lì erano già donne. Avevo bisogno di una donna, a quell’età si capisce. La comprai assieme a un cavallo e a un fucile, il tutto per 500 lire. Lei era un animalino docile. Quando me ne andai la cedetti al generale Pirzio Biroli, un vecchio coloniale che era abituato ad avere il suo piccolo harem, a differenza di me che ero monogamo perché non potevo consentirmi grandi lussi». Ne La stanza, su Il Corriere della sera, nel 2000 Montanelli scrive: «Faticai molto a superare il suo odore dovuto al sego di capra di cui erano intrisi i suoi capelli, e ancor di più a stabilire con lei un rapporto sessuale perché era fin dalla nascita infibulata: il che, oltre a opporre ai miei desideri una barriera pressochè insormontabile (ci volle, per demolirla, il brutale intervento della madre), la rendeva del tutto insensibile».

L’INFIBULAZIONE consiste nel tagliare clitoride, piccole e grandi labbra e cucire la vagina lasciando un orifizio grande come un’asola. Quando la donna si sposa, il marito per poterla penetrare apre l’asola di carne con un coltello. La prima messa al bando dell’escissione è stata fatta dalla Guinea nel 1965. C’è bisogno di aggiungere altro per chiedersi come fa un giornalista famoso, nel 2000, a 91 anni, a raccontare un’esperienza così senza mostrare un briciolo di ripensamento? E un quotidiano come il Corriere a pubblicare quell’articolo senza dire dei ma o, quanto meno, aprire un dibattito? E certa sinistra a vedere in Montanelli un riferimento solo perché era diventato anti berlusconiano? Ma già. I mostri sacri non si toccano, in quel caso ad alcuni faceva pure comodo, e poi quella è una vicenda lontana che riguarda una bambina africana e, quindi, chisseneimporta. I difensori di Montanelli sostengono che non si può giudicare una persona senza contestualizzare i fatti.

È COME DIRE che, visto il maschismo imperante dell’epoca, i poveri uomini erano esentati dall’esercitare autocritica, sensibilità e un pensiero diverso. Peccato che all’epoca, come ha scritto ieri in una lettera all’edizione milanese de la Repubblica Deborah Brizzi, scrittrice e poliziotta dell’ufficio maltrattamenti, stalking e minori: «La pedofilia era un reato vietato dal Regio decreto 740/37 e il sesso con un minore di 14 anni era considerato violenza carnale (art. 519 del Codice Rocco). Il buon Indro aveva consapevolezza che ciò che faceva fosse sbagliato». Il lavoro da fare è ancora tanto. Per capirlo basta leggere l’articolo di Francesco Rutelli pubblicato ieri da Repubblica. L’ex ministro, pur non difendendo Montanelli su questa questione, dice che non va bene: «Deturpare la sua facies perché allora dovremmo prendercela anche con le statue di Garibaldi per contestare il suo approccio verso le donne che oggi definiremmo inaccettabile». Ma sì, lasciamo perdere il passato, stiamo buone e calme, non tiriamo fuori la storia, soprattutto non sporchiamo che, quello sì, dà davvero fastidio.

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