Viola Amarelli torna alla poesia dopo il libro l’Ambasciatrice (del 2015) con la raccolta Il Cadavere Felice stampata in 120 esemplari numerati e acquistabile sul sito on-line (20 euro) delle Edizioni Sartoria Utopia (www.sartoriautopia.it), casa editrice nata nel 2012 con un catalogo di alta qualità. Il filo che torna come una nota felice nelle cinque sezioni di cui è composto il libro (narrazioni, cronache, dèmoni, fantasmata, cerchi) sembra essere quella della sottrazione linguistica cui dovrebbe tendere non solo la poesia, oramai appesantita da un cascame verbale pervadente, ma anche la vita in sé aggredita da una comunicazione di ritorno simile a una messaggistica pubblicitaria che mina le capacità di attenzione, ascolto e sguardo essenziale verso il paesaggio, l’umano, la comunità in sé: «nel bolo digestivo, il chiummo int’a panza, raffazzonata/ chienezza, l’ascetismo lo rimandammo/ alle prossime tre-quattromila occasioni/ di vita, dicevate in coro».

ECCO ALLORA la forza della poesia per contro suggerita dal libro: lavorare alacremente e con fatica alla attività di spoliazione benefica della parola, liberarla dai rampicanti tentacolari e far rimanere dell’arbusto poetico ciò che possa dire non solo dell’oggi ma di ciò che è stato, di ciò che probabilmente potrà essere. Viola Amarelli lavora a tutto questo credendo quindi nella capacità maieutica della scrittura di ricerca, mettendo all’indice senza mezze misure invece certi dottori che non aprono la parola al senso ma in essa si nascondono: «gli accademismi, le traduttologie, le lectiones serpentiformi,/ i periodi uroborici, l’armamentario lulliano/ disegnassero almeno una traccia, una via di / un sentiero, altrimenti di bravi, bravissimi, ce ne sono già tanti».

È CONTINUA nelle pagine questa attività di taglio e sottrazione dunque di tutte le sovrastrutture, i fronzoli, della società finanziario-consumistica alla deriva, che la nostra psiche via via ha assorbito rendendoci incapaci di reagire autenticamente ai tanti veli di maya che ci circondano. Ne viene un libro sferzato da una critica feroce rivolta alla comunità della finta technè, degli appagamenti momentanei, della «città…al centro di ogni solitudine» attraverso il ricorso a una ironia sagace, rivolta anche verso il fare della poesia che è precario esso stesso: «le parole sono pietre./ tu scheggiale/ fino a che non diventano sabbia, polvere./ fine». Amarelli con il suo cesello dà forme sempre inaspettate alle parole; sfrangiandole, rimodellandole, sonorizzandole, dando a esse una forza rara di senso e qualità quasi espressionistica. E Il cadavere felice, ripreso anche in una poesia, è quasi un titolo metaletterario di stampo surrealista, come tante altre espressioni acute sparse tra le pagine, che ha anche però una valenza esistenziale a indicare sempre come questo bombardamento del superfluo si sia così propagato da entrare dentro di noi e intaccare le carni fino ad arrivare all’osso levigato ma il cadavere spogliato di tutta la malora, ci dice Viola Amarelli in uno stato di sapienza espansa, forse: «/… – dicono – felice».