Chi ha detto che copiare sia necessariamente un atto deprecabile? Nella rincorsa ai 17 obiettivi di sostenibilità dell’Agenda delle Nazioni Unite, messa a dura prova dalla crisi pandemica, la replica delle Buone Pratiche è un approccio non solo elogiabile, ma direi anzi auspicabile. Certo, citando sempre la fonte, come direbbe ogni buon ricercatore. Una modalità che va promossa ad ogni livello: enti pubblici e imprese, ma anche nelle nostre case e nel quotidiano dei cittadini, delle associazioni, delle scuole. Investigare le azioni positive e i progetti efficaci è proprio l’obiettivo di un Premio che dal 2012 individua, riconosce, declina, incoraggia e promuove le Buone Pratiche, per favorirne appunto la condivisione. Una rivoluzione alla portata di noi tutti: Vivere a Spreco Zero è la meta, nel viaggio che ci può guidare al traguardo del 2030. Raccogliere le azioni positive e innovative aiuta a garantire che l’Agenda globale resti «rilevante ed ambiziosa» e che la società civile possa realmente concorrere a rendere più sostenibile l’attuale modello di sviluppo. Prevenire e ridurre gli sprechi alimentari, idrici ed energetici, promuovere l’uso efficiente delle risorse e l’economia circolare, custodire la biodiversità, sensibilizzare comportamenti sostenibili come gli stili e i sistemi alimentari legati alla dieta mediterranea, rappresentano la via maestra per camminare insieme verso la fine di un decennio determinante per il futuro del mondo.

Dal 2020 il Premio Vivere a Spreco Zero include anche la Dieta mediterranea: per «facilitare la condivisione di esperienze, successi, sfide e lezioni apprese», come indica la principale piattaforma Onu sullo sviluppo sostenibile, l’HLPF High-level Political Forum on Sustainable Development di cui fanno parte tutti gli Stati membri dell’Onu, e che garantisce un monitoraggio capillare di azioni e iniziative intraprese in direzione del 2030 ad ogni latitudine del pianeta. Nel 2010 era stata proclamata patrimonio immateriale dell’umanità, ma solo negli ultimi cinque anni la Dieta mediterranea è riferimento centrale nell’elaborazione delle politiche di trasformazione dei sistemi agroalimentari globali. Nell’ambito dei Dialoghi per il Food Systems Summit 2021, attraverso il tavolo che ho coordinato per il Ministero degli Affari esteri, abbiamo elaborato un documento di sintesi delle posizioni, obiettivi e priorità individuate dagli operatori e stakeholders dell’intera filiera agroalimentare italiana. Presentato il 9 giugno scorso in un meeting accademico promosso dalle Università di Teramo e Bologna con il network della Conferenza nazionale per la didattica universitaria di AG.R.A.R.I.A., il documento ha precisato che la Dieta mediterranea è la principale strategia nutrizionale sostenibile, perché permette di ridurre gli sprechi e distribuire al meglio le risorse, valorizzando con basi scientifiche il legame con il territorio. Uno strumento essenziale sul quale improntare le abitudini alimentari per ridurre l’impatto ambientale del cibo, preservare la biodiversità e legare salute dell’uomo e del Pianeta. Sappiamo d’altra parte che il sistema alimentare globale, che include tutte le emissioni generate lungo l’intera filiera della produzione fino al consumo, contribuisce per il 25-30% delle emissioni di gas serra. Limitare l’innalzamento della temperatura globale implica un rapido cambiamento delle nostre abitudini di produzione e fruizione alimentare e il nostro orientamento verso diete a basse emissioni di carbonio, che prevedono un consumo maggiore di vegetali e frutta e una riduzione di carni rosse. Un’unica salute, quindi – uomo, ambiente, animali – e non solo: il cambiamento climatico avrà un ulteriore impatto sulla resa agricola, sulla qualità del cibo a qualsiasi latitudine, con un probabile aumento dei costi di approvvigionamento alimentare. Si parla di un rialzo intorno al 23% da qui al 2050, senza modifiche agli scenari in atto.
Per questo la sfida – il future challenge – ci riguarda tutti. Nel 2020, secondo i dati del Rapporto Fao The State of Food Security and Nutrition in the World 2021, la crisi pandemica ha acuito le nuove povertà e le diseguaglianze, generando condizioni di insicurezza alimentare per il 12 % della popolazione mondiale. Circa 2,37 miliardi di persone non hanno un accesso adeguato al cibo, 320 milioni in più rispetto al 2019. E le stime prevedono che nel 2030 660 milioni di persone soffriranno ancora la fame, anche in ragione degli effetti a lungo termine della pandemia. E allora, come ha sottolineato il Direttore generale della Fao Qu Dongyu, diventa ancora più evidente che possiamo guardare al traguardo #famezero rivolgendo la prua verso l’obiettivo #sprecozero. Una bella sferzata d’ottimismo: per rimboccarci le maniche anche nei piccoli passaggi quotidiani, rendendo le nostre scelte meno automatiche e più consapevoli. Guardandoci intorno: perché spesso quello che dovremmo fare è possibile, magari esiste già. Basta solo replicare l’esistente.