Case crollate, fiumi straripati, inondazioni. E morti. Il bilancio del tifone Hagibis che sabato ha investito la regione centro-orientale del Giappone è ancora provvisorio. Le operazioni di soccorso vanno avanti mentre si tenta una conta dei danni e delle vittime la cui cifra è intanto salita a 47. Prima di indebolirsi, proseguendo la sua corsa verso nord, la furia di Hagibis è stata devastante: è stato l’uragano più violento del 2019 (ce n’erano già stati 18), tra i peggiori della storia.

Il tifone non ha però impedito lo svolgimento di gran parte degli eventi sportivi in programma domenica, compresi il Gran Premio di Suzuka e 3 dei 4 match dell’ultimo turno della fase a gironi della Coppa del mondo di rugby. Soltanto la partita tra Namibia e Canada è stata cancellata: avrebbe dovuto disputarsi allo stadio di Kamaishi, a pochi metri dalla baia di Unosumai, sulla costa nord-orientale duramente colpita. Parte della città era stata evacuata prima dell’arrivo del tifone e i giocatori canadesi hanno dato una mano a spalare il fango dalle strade.

SE N’E’ ANDATO, Hagibis, portandosi via anche le polemiche. Quella scatenata dagli scozzesi, che avevano minacciato (e poi ritirato, vista la figuraccia) un ricorso legale qualora fosse stato cancellato il match contro la nazionale nipponica – sfida decisiva per il passaggio ai quarti di finale. Quella di alcuni giocatori dell’Italia che hanno lamentato una “mancanza di rispetto” da parte degli organizzatori per avere impedito loro di sfidare gli All Blacks, sia pure “a porte chiuse” – anche questa rubricabile alla voce “figuracce”. Quella, ed è la sola destinata ad avere un proseguo, di chi ha puntato il dito contro l’organizzazione della Coppa del Mondo, incapace di elaborare un “piano B” in caso di eventi naturali di questa gravità – eventi tutt’altro che rari, soprattutto per effetto del cambiamento climatico.

La prima fase della Coppa del mondo si è dunque conclusa, promuovendo le otto squadre che si affronteranno nei quarti a eliminazione diretta nel prossimo weekend. Sono Galles, Inghilterra, Irlanda, Francia, Nuova Zelanda, Sudafrica, Australia e Giappone: le prime quattro classificate dell’ultimo Sei Nazioni, le tre grandi dell’emisfero Sud, infine il Giappone che sebbene giocasse in casa è la grande sorpresa di questa edizione della William Webb Ellis Cup.

LA SFIDA di ieri a Yokohama è stata probabilmente la partita più bella e appassionante di tutta la prima fase. La Scozia era chiamata all’impresa: per qualificarsi doveva vincere con almeno quattro mete e più di otto punti di scarto, lasciando il Giappone a secco. Impresa non impossibile, ma i cherry blossom avevano finora vinto tutte le partite e si presentavano all’appuntamento sospinti dal tifo entusiasta di un’intera nazione e con il vantaggio di avere più risultati a disposizione. Nei tre match fin lì disputati avevano messo in chiaro alcune cose sul loro rugby: un bel gioco, strutturato e ben orchestrato dalla guida di Jamie Joseph; la presenza fisica in campo anche nelle fasi più dure del match; disciplina e forza del collettivo affinate da una lunga preparazione a un mondiale visto come occasione imperdibile.  Armi vincenti contro una Scozia il cui rugby è da anni all’insegna del “tormento ed estasi”: a volte trascinante, altre deprimente.

Illusi dalla meta di Finn Russell dopo appena sei minuti, gli scozzesi hanno forse pensato di avere davanti un match meno ostico del previsto. Errore. Da lì in poi non sono più usciti dalla loro metà campo. Il Giappone ha preso possesso del gioco, gestendone ogni fase con determinazione, sacrificio e una ferocia agonistica mai vista. L’ovale viaggiava con frequenze musicali, l’avanzamento era costante e a ogni impatto i cherry blossom andavano oltre la linea del vantaggio, guadagnando metri su metri. La gestione nei punti di incontro era mirabile per disciplina: le ruck erano vinte sistematicamente e le maul scozzesi erano puntualmente rese inoffensive. L’impressione era che Greig Laidlaw e compagni non riuscissero a capire che cosa stesse accadendo. Il Giappone andava tre volte in meta, al 17’ (Matsushima), al 25’ (Inagaki) e al 39’ (Fukuoka), mandando gli avversari al riposo sotto di 14 punti: 21-7. E non bastava perché al rientro in campo giungeva una quarta meta (Fukuoka) che issava i nipponici sul punteggio di 28-7 che per la Scozia suonava come una campana a morto. Per la cronaca, le quattro mete erano state bellissime per la perfezione dell’esecuzione. Gli scozzesi provavano a rifarsi sotto con due mete del pack (Nel e Fagerson) ed entravano nell’ultimo quarto sotto di 7 punti e con il Giappone già certo di incassare almeno un punto di bonus. Da fattibile l’impresa era divenuta prima difficile, ora quasi impossibile: bisognava segnare almeno altre due mete e piazzare almeno un penalty o un drop a una squadra che non mollava un centimetro, difendeva la trincea in trance agonistica, non sbagliava nulla. Più i secondi passavano e più il Giappone trovava la forza necessaria, mentre la Scozia annaspava, perdeva lucidità e commetteva errori. L’ultima mischia, a tempo scaduto, era dei nipponici che buttavano la palla in tribuna. Fischio finale. Trionfo.

 

Quarti di finale

Sabato  19: Inghilterra-Australia, Nuova Zelanda-Irlanda.

Domenica 20: Galles-Francia, Giappone-Sudafrica.