“Immanenza satura” è la potente immagine con cui recentemente Donatella Di Cesare ha offerto una lucida prospettiva di analisi filosofico-politica del regime tardo capitalista contemporaneo: quanto fonda la veloce società dell’informazione è portatore di un’idea di stagnazione, di stasi, di saturazione.

Come è possibile? Di primo acchito questo può apparire come un paradosso della realtà postindustriale odierna. Se manteniamo il discorso su un piano legato alla produzione culturale, si vede che l’accelerata generazione di contenuti si configura entro un frame che si alimenta del rifiuto di effettuare tanto una auto-analisi quanto una meta-analisi che mettano in discussione ciò che determina l’articolazione del pensiero nel capitalismo globalizzato.Vediamo manifestarsi l’immanenza nell’incolore ottusità generale risultante dal non voler riconoscere una dimensione esterna (la società capitalista è exofobica, direbbe Di Cesare) in cui sviluppare una riflessione critica dei nostri stessi principi socio-culturali.

Tuttavia, c’è chi lotta contro l’inerzia culturale capitalista. E, se è al di fuori dell’accademia, rischia di passare inosservato.Un esempio lo abbiamo visto entrando, in occasione del Festival del Libro e dell’Editoria Indipendente (svoltosi dal 27 al 29 settembre), nell’ex caserma Del Fante di Livorno, ora occupata. Lo spazio, centro nevralgico della sinistra antagonista livornese, è anche luogo di incontro e promozione culturale e da due anni ospita questa iniziativa.

Abbiamo raggiunto il vecchio stabile il secondo giorno di festival per assistere al convegno sul pensiero di Abdullah Öcalan che ha visto la partecipazione di relatori come Laura Schrader, Federico Venturini, Fabiana Cioni, Anna Maria Turchetto e Ubaldo Fadini. Ci è parso immediatamente che i membri del collettivo dell’ex caserma ricercassero una dimensione di osmosi con la popolazione cittadina a dispetto del carattere “insulare” del luogo in rapporto al resto della città e della pratica politica antagonista che si muove all’esterno della politica istituzionale.

Ed è in dimensioni come queste, così periferiche rispetto a quelle in cui sono calati i luoghi della cultura istituzionale che si svolgono piccole operazioni di sfida alla stasi culturale capitalista. Vediamo in che misura. Nel corso del convegno in questione, nel racconto dell’esperienza del popolo curdo si è innestata una riflessione più ampia sullo sviluppo del mondo contemporaneo. L’esempio curdo ci ha potuto fornire un modello in cui si dà la possibilità di una relazione tra teoria politica e pratica attiva in contrasto al riduzionismo economicista attuale e a favore della creazione di un equilibrio fra uomo e natura. Un modello, inoltre, a cui l’occidente dovrebbe ispirarsi anche nell’approccio alla questione di genere.

Questa visione analitica che non solo vuole affrontare criticamente il sistema capitalistico globale ma lo fa sottraendosi al pregiudizio eurocentrico nell’inquadramento del problema, si ritrova tuttavia in una condizione paradossale: il doversi immunizzare dall’egemonia del discorso capitalistico attraverso una sopravvivenza “insulare” che inoltre determina un’eccentricità riconosciuta come ideologica.A tal punto parrebbe che la ricerca di occasioni di rottura di quel circolo rappresentato dall’immanenza satura, e quindi la ricerca di una dimensione esterna al sistema, porti non solo a non uscire da esso ma anche a rimanere in una condizione di emarginazione. Tuttavia è la moltitudine di casi come quello esemplificato dal festival del Libro di Livorno che porta a comprendere che la soluzione deve risiedere proprio nel realizzare quell’osmosi ovvero nel generare quei canali culturali che ne costituiscono l’attuazione.