Ignazio Marino è stato eletto sindaco un anno fa. L’intero personale amministrativo si è fermato ieri per la prima volta nella storia della città. Il sindaco Marino non riesce a stabilire un rapporto con la città e ha perso la sfida che aveva vinto dodici mesi fa. Sempre ieri il consiglio di amministrazione dell’Acea, una delle aziende di servizio più grandi e più ricche d’Italia, ha accettato la proposta del sindaco ed ha diminuito di due membri il consiglio di amministrazione sconfiggendo niente meno che Francesco Gaetano Caltagirone. Marino ha vinto la sfida, è un grande sindaco. È un grande paradosso ma il primo compleanno di Marino delinea una città sospesa e non è ben chiaro dove voglia farla approdare. Un andamento a singhiozzo che riesce raramente a stabilire un contatto con la città che attendeva da anni un cambiamento e nello stesso tempo un sindaco che è evidentemente estraneo ad un pezzo importante dell’economia dominante romana, in particolare quella – eterna – della speculazione fondiaria.

La peculiarità di questa fase di vita ddi Roma sta in questa gigantesca contraddizione di un sindaco che sembra a volte esprimere un pensiero alternativo alla prassi culturale ed economica che ha portato al tracollo la città e nello stesso tempo si dimostra incapace di chiamare a sostegno quell’importante segmento di società che attende da decenni un cambiamento che non arriva mai. Sembra insomma che ci sia una cesura di comunicazione e ci coinvolgimento con la città e il sindaco intenda il suo ruolo alla stregua di un cavaliere solitario che non ha bisogno del consenso sociale.

La capitale è un luogo particolare: i poteri economici dominanti hanno una forza enorme che non può essere affrontata da un uomo solo. E il coinvolgimento della popolazione non arriva e, purtroppo, quando arriva è assolutamente negativo. Si pensi solo al problema delle occupazioni in atto, da quelle di chi non ha un tetto sulla testa e occupa relitti urbani a quelle di grande interesse culturale come il teatro Valle e il cinema Palazzo. Proprio in vista del suo primo compleanno, il sindaco ha affermato che affronterà con cipiglio l’occupazione del Valle, come stesse parlando di malavita organizzata, quando invece si potrebbe costruire intorno a quella esperienza un più vasto consenso. Ancora peggiore è la situazione delle occupazioni abitative di necessità: gli sgomberi proseguono in modo sistematico e si è scelto di criminalizzare una parte di società abbandonandola ad un ulteriore pericoloso isolamento. Solo due esempi per affermare ancora una volta che i problemi complessi si risolvono coinvolgendo la città, includendo e non con un atteggiamento mai portato alla dialettica sociale.

Così arriviamo al punto cruciale su cui si giocherà il futuro di Marino. La città ha un debito di 22 miliardi di euro e il provvedimento «salva Roma» è un vero e proprio commissariamento economico. I 22 miliardi sono un’eredità che Marino ha ricevuto in eredità e di cui ha poche colpe. Ma questio è il nodo: non può pensare di scaricare antiche colpe di una classe politica irresponsabile sulle spalle dei più deboli. Se continua su questa strada rischia un colpo decisivo come ha dimostrato lo sciopero di ieri. Mentre i dirigenti fannulloni o corrotti stanno nei loro posti di comando a 300 mila euro annui, si vuole ridurre lo stipendio dei dipendenti che ne guadagnano 15 mila. Mentre si è deciso di cancellare 15 linee di trasporto pubblico periferico e di chiudere servizi culturali e sociali si continua nella dissennata urbanistica dissipativa delle risorse pubbliche sempre più preziose in tempo di crisi. Che altro è il progetto del nuovo stadio della Roma che richiederà un fiume di soldi pubblici per sostenere un’attività privata se non questo? Su questi temi il sindaco ha bisogno di aprire una fase nuova e coraggiosa nella città offesa da troppe speculazioni.