In una città, Bologna, dove le iniziative nello spettacolo sono come piogge nel deserto, sta per cadere una meteorite, chiamata La ragazza con l’orecchino di perla, immagine di Vermeer nota a tutti che scatena duelli e parodie (visibile al pubblico da sabato prossimo e fino al 25 maggio, presso Palazzo Fava, con altre 37 opere provenienti dal museo olandese Mauritshuis dell’Aja, chiuso per ristrutturazione).

Valerio Dehò è convinto della potenza delle parole: «Quando si chiamava Ragazza con il turbante non interessava nessuno, come Ragazza con l’orecchino di perla è amata da tutti – dice – Francamente pensavo che il quadro fosse un autoritratto di Scarlett Johansson (l’attrice dell’omonimo film di Webber, ndr) invece mi dicono che sia un quadro dipinto in Olanda nel 1665. Per questo sono uscito dalla fila dei biglietti e sono tornato a casa. Per il resto, la città è contenta di questa mostra. Direi che si sente ’liberata’. Dopo anni di rassegne quaresimali dove non c’è niente da guardare e tutto da capire, Goldin ha riportato l’ottimismo e di questo noi bolognesi lo ringraziamo. Basta tristezze e servilismi celantiani, dateci il colore e la bellezza…».

Valerio Dehò è un professore che da anni, oltre a insegnare si prende cura di mostre e di gallerie, svolgendo un lavoro puntuale e articolato. Un quadro può giungere a significare molto se ambientato, diciamo territorializzato all’interno di un’idea. Da solo, potrà piacere o no, ma non significa niente, se il significato non gli è stato fatto indossare pubblicitariamente, pregiudizialmente. È come una sola poesia di Palazzeschi senza le altre, qualche pagina di Mikrokosmos di Bartók, ignorando l’insieme dell’opera. Per essere capito, tutto ha bisogno di essere collocato. Le mostre dovrebbero servire a comprendere le cose, non a meravigliare con i loro totem.

L’accusa principale rivolta all’operazione che ha portato in città questo quadro – che produsse una certa curiosità diventando inconsapevolmente oggetto di un film – è di inconsistenza culturale, mera spettacolarizzazione.

Renato Barilli, autorevole firma nel mondo dell’arte visiva, cui si devono libri, mostre, riviste, cataloghi, oltre ad anni di insegnamento universitario, è quantomeno perplesso di fronte all’operazione che è stata resa possibile per l’iniziativa della fondazione Carisbo. «Premetto a ogni ulteriore considerazione che Fabio Roversi Monaco è stato di gran lunga il dominatore della vita culturale bolognese negli ultimi trent’anni, in nome di una politica del fare senza battute d’arresto. Questa capacità realizzativa è stata da lui esplicata dapprima come rettore dell’Università, poi come presidente della Fondazione Carisbo, la più ricca della città, e ora che ha dovuto lasciarne la presidenza si è ritagliato il controllo della serie di musei che nel frattempo aveva promosso, oggi tali da fare concorrenza a tutte le istituzioni comunali». E quanto a contenuto? «Non esito a dire che un’impresa lodevole è stata la mostra recente dedicata alle grandi ceramiche di Arturo Martini, una produzione che ha onorato il nostro maggior scultore del Novecento, oltretutto in un aspetto cui non si era prestata finora sufficiente attenzione. Discutibile, invece, è l’impresa legata alla Fanciulla con l’orecchino di Vermeer, perché c’è dietro un abile venditore di prodotti consumisti quale Marco Goldin, colui che ci ha saturato di Impressionisti francesi a bizzeffe, lo stesso che aveva pure tentato di portare la Gioconda a Verona. In questo caso, gli è riuscito di inserirsi nel circuito internazionale di questo capolavoro che, come per ogni altro suo pari, non merita un culto esagerato e solitario, se non appunto di specie promozionale e consumistica….». «Bologna si era salvata fin qui dall’invasione Goldin e dunque l’averci fatto entrare in questo discutibile carosello non è ascrivibile tra i meriti di Roversi Monaco – continua Barilli -. Purtroppo, il grosso del pubblico è sempre pronto a cadere vittima di adescamenti di questo genere, e dunque il numero degli ingressi darà ragione a una simile politica, di cui il principale avvantaggiato sarà di sicuro lo stesso Goldin. A difesa dell’attivismo promozionale di Roversi Monaco c’è da dire che attualmente il capoluogo emiliano soffre di una quasi totale assenza di interventi da parte di un assessorato comunale alla cultura che dedica le scarse risorse a cinema, teatro, musica, mentre lascia sguarnito il settore dell’arte. Il compito delle istituzioni private non può essere di recare contributi sussidiari e integrativi, ma sale di grado e diventa di piena surrogazione».

Anche l’assessore Alberto Ronchi accusa il presidente del museo che ospita la mostra, l’ex rettore dell’università Fabio Roversi Monaco, di promuovere la cultura spettacolo «che non lascia nulla, che non fa crescere la città». Roversi Monaco ha però risposto che i duecentomila visitatori attesi vedranno qualcosa che moltissimi di loro non hanno mai visto e non avrebbero mai avuto l’opportunità di ammirare. Il bello è che il fine della tournée dei dipinti è anche meritorio. Quel che il noleggio renderà al museo olandese viene investito nella sua ristrutturazione, cioè di un bene che non è degli olandesi, ma di tutti.