«La soluzione non arriverà in una notte», fa sapere Angela Merkel. Alla vigilia di due vertici decisivi in cui l’Unione europea dovrà dimostrare di saper trovare una soluzione all’emergenza profughi, la cancelliera tedesca mette le mani avanti. E a ragione. I segnali che arrivano da più parti non lasciano infatti sperare bene sulla possibilità che dal consiglio dei ministri degli Interni di oggi e in quello previsto per domani dei capi di Stato e di governo possa arrivare il via libera alla proposta di divisione di 120 mila richiedenti asilo avanzata dalla Commissione europea. Sebbene Ungheria e Polonia abbiano ammorbidito la propria posizione, Repubblica Ceca, Romania e Slovacchia continuano a opporsi all’idea delle quote, con il ministro dell’Interno di Praga Milan Chovanec che non esclude che possa essere addirittura illegale imporle a uno Stato che rifiuta di accogliere i profughi. Nel frattempo la Slovenia ha annunciato di voler costruire una barriera al confine con la Croazia, mentre il parlamento ungherese ha approvato l’invio di 3.500 soldati ai confini con la Serbia autorizzandoli ad aprire il fuoco solo in caso di pericolo di vita ma permettendogli di usare gas lacrimogeni, pallottole di gomma e granate assordanti per respingere i profughi.

Un clima tutt’altro che unitario, come si vede, ulteriormente peggiorato dalle divisioni esistenti anche tra i paesi favorevoli alle quote. Il problema riguarda il comportamento da tenere verso i paesi ribelli. La Merkel insiste perché resti il principio che vuole le quote obbligatorie per tutti e si oppone alla possibilità che i governi restii ad accettarlo possano cavarsela pagando una penale. Un punto che altri leader europei vedono invece come una possibile mediazione che consentirebbe di sbloccare finalmente una situazione ferma ormai da mesi. Dopo aver proposto una penale dell’0,002% del Pil adesso la nuova ipotesi sulla quale si sta lavorando prevede che in caso di rifiuto da parte di un Paese scatti una procedura di infrazione seguita da decisione in tempi rapidi della Corte di giustizia. Se invece un Paese dichiara di non poter accogliere profughi per motivi verificabili, o accetta di accoglierli entro sei mesi oppure pagherà 6.500 euro per ogni migrante rifiutato.

Un’apertura arriva invece dall’Ungheria, che si è detta disponibile ad accettare le quote e rinuncia alla redistribuzione dei 54 mila profughi che si trovano nel suo territorio decisa dalla commissione Ue. In più Budapest dovrebbe accogliere 306 rifugiati dall’Italia e 988 dalla Grecia. La domanda a questo punto è cosa fare dei 54 mila rifugiati a cui l’Ungheria ha rinunciato. Consiglio Ue e Commissione europea stanno valutando l’idea di costituire una sorta di serbatoio di riserva da utilizzare in caso di nuovi afflussi improvvisi. Se dopo 18 mesi non saranno individuati altri Paesi beneficiari, i 54 mila verranno redistribuiti tra Italia e Grecia. E proprio a proposito di questi due Paesi l’ultima bozza di accordo messa a punto dagli ambasciatori dei 28 prevede che dei 15.600 richiedenti asilo che lasceranno l’Italia 4.027 andranno in Germania, 3.064 in Francia, 1.896 in Spagna e 1.201 alla Polonia. Dei 50.400 che lasceranno invece la Grecia oltre 13 mila saranno ricollocati in Germania e quasi 10 mila in Francia.

Su tutto resta comunque la questione dell’obbligatorietà o meno delle quote, principio che i Paesi dell’est continuano a rifiutare.
Divisi su tutto, i 28 sembrano comunque d’accordo su un punto: la necessità di intervenire in Turchi,a Libano e Giordania per fermare i profughi. Proprio la Turchia sarà una delle questioni centrali del vertice di domani. Il presidente del consiglio europeo Donald Tusk si è recato due volte nelle ultima settimana ad Ankara per discutere l’emergenza profughi e riferirà sui colloqui avuti. In Turchia ci sono più di 2 milioni di profughi siriani e Bruxelles vorrebbe che i Paese facesse di più per evitare le partenze. Per questo la scorsa settimana ha stanziato 1un miliardo di euro e non è escluso che nuovi fondi siano in arrivo anche per Giordania e Libano per migliorare le condizioni dei campi in cui vivono i profughi. Ieri intanto la polizia turca ha fermato 200 profughi siriani che cercavano di raggiungere a piedi il confine con la Grecia.