Tanti applausi, qualche fischio. Normale quando si gioca davanti al pubblico del Libano, dove la Siria ha tanti alleati ma anche molti nemici. Ma l’importante era scendere in campo e così è stato. Ieri sera, nel palazzo dello sport di Beirut, dove è in corso l’Asia Cup di pallacanestro, la nazionale siriana affrontando la Giordania è tornata a partecipare, dopo sei anni di sangue e guerra, a una competizione internazionale. Un traguardo che appena un paio d’anni fa appariva impossibile e che è stato raggiunto grazie alla lenta ma costante riconquista da parte dell’esercito siriano e dei suoi alleati di sempre più vaste porzioni del Paese occupate negli ultimi anni da milizie jihadiste e qaediste. Il ritorno a una calma relativa, non solo a Damasco, aveva permesso alla federazione siriana già lo scorso anno di organizzare il campionato nazionale. Si è perciò riproposta la sfida tra i rivali di sempre, il Jalaa di Aleppo e il Jeish, il team dell’esercito. Uno scontro che vale una stagione e che tante volte in passato aveva visto protagonista Michael Madanly, 35 anni, guardia di 192 centimetri con un tiro letale e MPV indiscusso del basket siriano. Non conoscevano ieri sera il risultato del match tra Siria e Giordania cominciato quando questo numero del nostro giornale andava in stampa. Madanly e i suoi compagni comunque prima dell’incontro erano felici di rappresentare un Paese che vuole riemergere dall’abisso in cui è stato fatto precipitare.

La storia personale di Michael Madadly in questi ultimi anni è la storia di un po’ tutti i siriani anche se lui l’ha vissuta da privilegiato grazie al talento cestistico che gli ha consentito, all’estero, di guadagnarsi da vivere (bene) grazie a contratti con varie formazioni asiatiche. Gli allenatori ricordano ancora i 33 punti e 8 rimbalzi di media a partita che la guardia siriana mise a segno nella Coppa d’Asia del 2007 ed i suoi duelli negli anni seguenti con l’americano Samaki Walker, uno che in Nba ha giocato tanto, anche con i Lakers di Kobe Bryant, e a un certo punto finito, chissà come, nella lega siriana. Madadly ha avuto sempre la testa in Siria in questi anni. «Il mio paese è bello prima del 2011, uno dei migliori al mondo e non lo avrei mai lasciato – ha raccontato a un sito asiatico – Qualcuno parla di rivoluzione ma in Siria non c’è mai stata una rivoluzione, c’è stato solo terrorismo. Non c’è mai stata una rivoluzione per la libertà e la democrazia ma solo per costituire uno Stato islamico».

Innamorato della sua città, Aleppo, Madadly ha vissuto i giorni più duri quando il fratello nel 2013 venne rapito da miliziani di an Nusra. «Sono stati dieci giorni d’inferno e siamo riusciti a liberarlo solo pagando un riscatto» ricorda il giocatore «mio fratello era un dirigente di fabbrica, non faceva politica e non aveva legami con alcuna struttura di potere. La nostra famiglia è una famiglia semplice. Lo hanno rapito solo perché è un cristiano». Dopo la liberazione del fratello tutta la famiglia fuggì all’estero temendo di essere finita nel mirino di an Nusra. Michael è stato il primo a tornare in Siria, per dire ai suoi familiari e a milioni di siriani divenuti profughi che è venuto il momento di rientrare e avviare la ricostruzione.

Alla Coppa d’Asia la nazionale siriana non ha obiettivi se non quello di esserci. Nei prossimi giorni affronterà l’India e l’Iran, alleato di Damasco, anch’esso amato e odiato in Libano. Per quell’incontro le autorità libanesi hanno predisposto strette misure di sicurezza fuori e dentro il palazzo dello sport di Beirut.