Il contagio è completo: la guerra civile siriana è ormai entrata nell’instabile Paese dei Cedri. Dopo anni di attentati a Beirut e Tripoli, da sabato la cittadina di Arsal, al confine con la Siria, è il palcoscenico del cruento scontro tra jihadisti arrivati dalla Siria e esercito. Il bilancio è di 16 soldati e 17 civili uccisi (tra cui tre bambini), decine di miliziani morti e 150 feriti. Sarebbero fatti prigionieri anche 13 soldati e alcuni poliziotti.

Jean Kahwaij, capo dell’esercito libanese, lo ha definito «un attentato ben pianificato», che ha visto il dispiegamento di almeno 3mila miliziani qaedisti. Le sue parole troverebbero conferma nella confessione rilasciata da Ahmad Jumaa, membro del Fronte al-Nusra, gruppo islamista attivo in Siria, catturato sabato dall’esercito libanese. Dopo la cattura, i jihadisti hanno sfondato, circondando checkpoint militari e facendo irruzione in una stazione di polizia. Gli scontri tra esercito e miliziani sono proseguiti per tutta la notte di sabato, la giornata di domenica e ancora ieri: dalla città si alzano colonne di fumo nero e rimbomba l’eco dei colpi di artiglieria. Una violenza che ha costretto migliaia di profughi siriani a fuggire dai campi di Arsal, insieme ai residenti libanesi. Ad oggi sono ben 100mila i rifugiati siriani nella città di confine: «La situazione umanitaria è terribile, non c’è posto per i rifugiati – ha raccontato un attivista siriano – I residenti sono terrorizzati».

L’esercito libanese ha inviato rinforzi alle unità di stanza ad Arsal, città sunnita circondata da comunità sciite vicine ad Hezbollah, e ha fatto sapere ieri di aver riassunto il controllo di gran parte della città, sparando con l’artiglieria alle postazioni del Fronte al-Nusra e dello Stato Islamico, altro gruppo qaedista attivo in Siria.

Da tempo la comunità è teatro di scontri tra jihadisti e forze libanesi, soprattutto dopo la riconquista all’inizio di quest’anno della città siriana di Qalamoun, al di là del confine, da parte di Hezbollah che l’ha strappata al controllo delle opposizioni anti-Assad. Gli scontri degli ultimi tre giorni sono lo specchio dell’inasprimento delle divisioni interne al paese, tra sciiti sostenitori di Assad e sunniti pro-ribelli, e rappresentano una minaccia seria ad un paese già instabile, ostaggio di uno stallo politico di lungo periodo e privo di un presidente da maggio, da sempre permeabile alle crisi siriane.

L’avanzata dei gruppi jihadisti in Siria e Iraq si sta radicalizzando e la prossima vittima potrebbe essere il Libano, un’eventualità che dimostra ancora una volta come l’obiettivo degli islamisti non sia il controllo di un paese ma la ridefinizione degli equilibri dell’intera regione.