Anna Proclemer è morta ieri nella sua casa romana. Tra un mese avrebbe compiuto 90 anni, e con lei se ne va l’ultima signora della tradizione teatrale italiana. Un’attrice importante, bella e brava, che aveva personificato tutto il glamour e tutta la tecnica che sul palcoscenico si può esibire. Che fino all’ultimo, otto anni fa, era apparsa entusiasta sulla scena dell’Argentina, a ripercorrere con Albertazzi l’erotismo tardivo, ora languido ora sfacciato, di Paul Leautaud e della sua amante, in Diario privato. E la regia di Luca Ronconi aveva spinto a tutto gas le poltrone su cui sedevano, in preda ad orgasmo, come sull’autoscontro.

Proclemer, nata a Trento nel 1923, a 19 anni era a Roma, e insieme all’università, cominciò frequentare il teatro Ateneo. La sua carriera è stata piena e soddisfacente: non è stata mai solo un’attrice, ma anche un’intellettuale. Amava il mondo degli scrittori, e giovanissima aveva sposato Vitaliano Brancati (la loro figlia Antonia, che l’ha curata fino all’ultimo, non è solo scrittrice e autrice teatrale, ma meravigliosa sponda in Italia per molti autori anglosassoni). Con lui conobbe scrittori e artisti, e la prova del suo impegno esce chiara dai titoli dei film importanti a cui ha partecipato: Viaggio in Italia di Rossellini, Cadaveri eccellenti di Rosi, Nina di Minnelli, e da ultimo era stata per Ozpetek Magnifica presenza. Ottima doppiatrice quando non poteva recitare causa maternità: tra le ultime Greta Garbo, Yvonne Sanson.

Ma Anna Proclemer è stata soprattutto teatro: quello dei grandi maestri del secondo novecento, da Strehler a Visconti a Ronconi, a tutti quelli importanti, attratti dalla sua signorile pienezza scenica. Nei classici come nel teatro contemporaneo, per moltissimi anni a fianco di Giorgio Albertazzi, cui è stata legata sulle scene e nella vita, dopo la prematura scomparsa di Brancati (che per lei però aveva scritto La governante, testo scandaloso e censurato che rendeva protagonista per la prima volta una donna lesbica, istitutrice presso una famiglia siciliana). Con l’attore fiorentino fece moltissimo Shakespeare (come l’Amleto diretto da Zeffirelli, lui protagonista e lei nei panni di sua madre), con Lilla Brignone una celebre Maria Stuarda vera «battaglia di dame», e con curiosità infinita molti testi meno conosciuti: del resto a rivelarla al pubblico di massa era stata quella Anna dei miracoli, bambinaia capace di riportare alla vita piena una bimba infelice. Con quel testo trionfò anche in tv, dove tornò spesso, nei grandi sceneggiati, magari tratti dai prediletti russi.
Una regina della tradizione insomma, ma che negli ultimi anni del secolo scorso si scoprì insospettabile e irresistibile protagonista beckettiana, postatomica e postumana. Si riprese tornando regina, per quanto perduta, nell’Ecuba di Massimo Castri all’Argentina, dove agli smodati Achei vincitori offriva solo lo sdegno del proprio cipiglio. Dopo Leautaud non si faceva più vedere in giro, nelle platee che aveva continuato a frequentare. Si sentiva malata e non si mostrava. Aveva una regale concezione anche dello scomparire, nonostante la bellezza, e lo humour e l’intensità che aveva profuso per tanti anni dal palcoscenico.