«Aboliamo le leggi sicurezza». Il messaggio diretto al governo 5S-Pd ha aperto il corteo nazionale che è sfilato ieri a Roma, dal Colosseo a piazza della Repubblica. Dietro lo striscione di testa un mondo composito e variegato, diviso in spezzoni. La comunità curda e quella cilena. I passeggini delle famiglie occupanti di casa e gli spazi sociali romani. Le bandiere di Mediterranea e quelle di Sea-Watch. I colori di «Non una di meno» e i cori dei ragazzini dell’associazione «Kethane, Rom e sinti per l’Italia». Le comunità migranti, tante e diverse. Gli studenti e i sindacati di base, soprattutto Usb e Cobas. I centri-sociali e i progetti solidali del nord-est, uniti nel forum «Indivisibili». I simboli di Potere al popolo e Rifondazione comunista.

UN RIFLESSO SFACCETTATO dei pezzi di società colpiti dai due decreti sicurezza firmati da Salvini e poi trasformati in legge dal parlamento, durante il governo gialloverde. «Non si possono rischiare sei anni di carcere per fare un picchetto o un blocco stradale che serve a difendere i propri diritti o il posto di lavoro – dice dal camion Tiziano Trobia, della rete Energie in movimento – Così come non si può rischiare di morire in mare per le sanzioni contro le navi che salvano esseri umani, o finire per strada a causa delle misure che limitano ai migranti l’accesso ai documenti e al sistema di accoglienza».

LA GIORNATA È FREDDA e il cielo grigio, gravido d’acqua. Nonostante ciò, strada facendo il corteo cresce. Fino a 20 mila persone, secondo i numeri diffusi dagli organizzatori. Dal camion interviene Nicoletta Dosio, attivista No Tav di settantré anni recentemente condannata in via definitiva e senza condizionale per un blocco stradale in Val di Susa del febbraio 2012. Con lei giudicate colpevoli altre 11 persone. «Essere contro i decreti sicurezza significa rifiutare una politica che il nostro territorio conosce da molti anni – dice la donna – La logica che ispira quelle misure in realtà aumenta l’insicurezza dei giovani, dell’ambiente e di tutti coloro che alzano la testa. Il movimento No Tav è stato un laboratorio di queste politiche. Io andrò in carcere perché non ho intenzione di chiedere scusa per le nostre proteste. Quello che abbiamo fatto era giusto».

FILO COMUNE tra i diversi interventi è la proposta di un concetto di sicurezza radicalmente differente da quello agitato negli anni da tutte le principali forze politiche. Come nelle recenti mobilitazioni contro gli incendi dei locali nel quartiere romano di Centocelle, i manifestanti rifiutano di declinare quel tema a partire dal controllo poliziesco, dalla discriminazione delle persone migranti e dall’inasprimento del codice penale. «In questa piazza c’è anche la rabbia degli abitanti di Centocelle – afferma Paolo Di Vetta, dei Blocchi precari metropolitani – Le cosiddette leggi sulla sicurezza non colpiscono mai la criminalità organizzata, ma sempre gli ultimi. Chi occupa una casa, chi vive alla giornata, chi lotta per difendere i propri diritti. Sicurezza dovrebbe significare garantire a tutti un reddito, un tetto sopra la testa, l’accesso al welfare e la possibilità di lavorare».

FULVIA CONTE indossa una felpa di Mediterranea e ha in mano un cartello che dice: «La solidarietà non è reato». Fa parte dell’equipaggio della nave umanitaria e ha partecipato a diverse missioni. «Anche Mediterranea è in piazza oggi per chiedere l’abolizione delle leggi di Salvini – afferma la ragazza – Quei provvedimenti bloccano nei porti le nostre navi, causando nuovi morti in mare. Avevano parlato di discontinuità con il precedente governo, invece la ministra dell’Interno Lamorgese ha annunciato un nuovo codice di condotta contro le Ong. Ma i codici di condotta ci sono già: il diritto del mare e i trattati internazionali che prevedono il dovere di salvare i naufraghi».

IL GOVERNO è tornato in questi giorni sul tema del decreto sicurezza bis, trasformato in legge ad agosto di quest’anno. La ministra Lamorgese ha manifestato l’intenzione di accogliere i rilievi del presidente della Repubblica contro le maximulte alle Ong e l’annullamento della possibilità del giudice di valutare la «particolare tenuità del fatto» per ipotesi di reato relative a resistenza, violenza e minaccia a pubblico ufficiale. Contemporaneamente, la ministra ha annunciato l’attivazione di 300 nuovi posti nei centri di detenzione amministrativa per migranti. Dopo il rinnovo degli accordi con la Libia, invece che a elementi di discontinuità sembra assistere a una persistente subalternità nei confronti delle politiche salviniane. Brutto segnale.