Se decidi di abbonarti a una piattaforma di intrattenimento multimediale tipo Netflix, devi anche mettere in conto che da quel momento in poi non sarai più solo, e non nel senso migliore de termine. Hai firmato un contratto, fornito le tue credenziali, il numero della tua carta di credito, il tuo indirizzo di posta elettronica. Ti mettono a disposizione serie tivvù che, in confronto alla deprimente offerta delle reti generaliste nostrane, è come passare da un sottoscala a un cinque stelle, però c’è un però. Concludere un accordo con uno di questi gestori significa più o meno spalancargli la porta di casa e avere un ospite fisso e invisibile a cena, a colazione, nel dopo cena, il pomeriggio, insomma ogni volta che accendi uno degli infernali marchingegni elettronici e ti connetti a quel servizio. Sanno quando li guardi, quando non li guardi, a che ora li accendi e li spegni, per quanto tempo li hai messi in pausa o ignorati. Soprattutto, sanno che cosa guardi, che cosa hai messo nella tua lista di preferiti, che cosa hai guardato per pochi secondi o per ore e quindi quali sono le tue preferenze, le idiosincrasie, le insofferenze, le delusioni, le passioni.

NON NASCONDONO affatto questo loro tracciare ogni tuo movimento, anzi ne fanno un vanto di efficienza e servizio al cliente, tant’è che ogni volta che termini di vedere un film, una serie o ne cerchi una nuova, si fanno vivi con un’email che ti aggiorna sulle tue scelte, che nemmeno tu ti ricordi perché mica passi la vita a pensare che cosa hai selezionato su Netflix o Amazon Prime. Belli belli ti scrivono: «Hai finito Vattelapesca. Troviamo qualcosa di nuovo da guardare adesso». Il noi confidenziale già ti mette a disagio perché stai parlando con un computer o con un’entità immateriale, mica con una persona.
Il secondo moto di fastidio viene dalle categorie che ti propongono perché da quelle capisci che sei già stato inquadrato in uno spettatore tipo e, soprattutto, che danno per scontato che la vita visionaria e immaginifica è fatta di scatole e generi. Ti offrono «Momenti dark», ti chiedono se «Ti piacciono le maniere forti», ti domandano se vuoi continuare a guardare ciò che hai lasciato in sospeso, ti ricordano che cosa c’è nella tua lista, ti sollecitano a rivedere questo o quello. Il primo istinto, almeno il mio, è di mandarli a quel paese e astenermi dal connettermi alla loro piattaforma per alcuni giorni. La seconda tentazione è di selezionare titoli a pera per annebbiargli le idee, le previsioni e le statistiche.

IL TERZO MOTO di ribellione è quello di scrivergli, se fosse possibile instaurare un dialogo con un umano, per dirgli che faremmo anche a meno di tanta solerzia, anzi che ci dà proprio fastidio. E lasciateci scegliere e guardare ciò che vogliamo in santa pace, lasciateci scoprire le cose a modo nostro, buttate via le categorie, datevi all’imprevedibile che è così creativo, divorziate dalla smania di controllo che alla lunga fa ammalare.
Forse, in un lontano domani, saranno le macchine a ribellarsi, stufe di star dietro alle fisime umane. O forse saranno gli umani a dire basta. Per ora seguiamo i programmi tenendoci addosso la sgradevole sensazione di essere sotto controllo, numeri infilati nelle trippe degli algoritmi e dei Big Data, oggetti guardanti da inserire in tipologie, rimpinzabili di immagini H24, indirizzi email a cui dare suggerimenti e sollecitazioni. Sebbene consapevoli di essere per ora nelle loro mani, sotto sotto lo spirito critico vigila, mormora, sobbolle, come un vulcano non spento. E i vulcani, si sa, prima o poi scoppiano.

mariangela.mianiti@gmail.com