Agire come un organismo unico, non attuare la strategia dei cassetti separati, ma creare collaborazione tra tutti i soggetti che hanno a cuore il futuro del mare e dei suoi abitanti, e con essi anche la vita sulla Terra così come la conosciamo.

Noi ricercatori del comitato scientifico di Slow Fish abbiamo invitato a Genova i rappresentanti della politica e dell’economia e abbiamo rivolto loro un appello. Ai Ministeri, dell’Ambiente e dell’Agricoltura ovviamente, ma anche della Difesa e dell’Economia. E anche alle grandi e piccole aziende, non solo quelle che intorno al mare hanno costruito i loro profitti. Perché se è vero che il mare è un bene comune del quale ci dobbiamo occupare e preoccupare, dobbiamo essere tutti uniti, non ragionare per dicasteri e orticelli, per responsabilità dirette e competenze. Occorre il contributo di tutti noi, in qualsiasi parte del mondo abitiamo, perché la salvaguardia del mare inizia da terra.

Basti pensare che in Italia l’80% dei rifiuti plastici spiaggiati arriva al mare attraverso i corsi d’acqua. Questo è solo uno tra i dati più significativi di quelli presentati a Genova all’interno della Strategia Marina, la rilevazione effettuata dal Ministero dell’Ambiente, in collaborazione con Ispra e le 15 Arpa costiere, sullo stato complessivo dei mari italiani. Un vero e proprio punto zero che ci permetterà, insieme a tutti gli altri Paesi europei che hanno effettuato lo stesso tipo di ricerca, di definire le future politiche dei mari in Italia e nel resto d’Europa.

Secondo i dati raccolti, sulle spiagge di tutto lo stivale la plastica è il rifiuto principale, con bottiglie, sacchetti, cassette in polistirolo, e per la maggior parte vengono dal nostro malcostume a terra. Si tratta di dati che ci devono far riflettere maggiormente, come cittadini di Paese civile, rispetto al fatto che l’ambiente che ci circonda non è una discarica e che il mare non è il contenitore in cui nascondere tutte le nostre colpe. Anche perché poi ritornano sui nostri piatti, visto che in un solo chilometro quadrato si ritrovano in media 179 mila microplastiche, che poi risalgono la catena trofica attraverso i pesci che se ne nutrono.
Ma nella quattro giorni di Slow Fish che ha riunito pescatori, trasformatori ed esperti da 20 Paesi abbiamo affrontato altri temi cruciali. Tra questi il cambiamento climatico, che incide tanto sull’agricoltura quanto sulla pesca. Un esempio su tutti, per comprenderne l’impatto nel nostro vissuto, è la sempre più drastica diminuzione del tonno rosso nelle nostre acque, diventate troppo calde per garantire la sua prosperità, a favore dei mari del Nord. Una tendenza che potrebbe portare alla scomparsa di questa specie in tutto il Mediterraneo. Con esso potrebbero andare perdute anche le tradizioni di pesca, la cultura gastronomica, le

memorie che questa specie ha contribuito a costruire nel tempo.
Tra le domande che ci siamo posti e di cui abbiamo discusso insieme al pubblico di Slow Fish c’è proprio la grande sfida di trovare una soluzione per affrontare in modo sostenibile l’aumento della popolazione mondiale mantenendo un mare ancora ricco. La nostra proposta è puntare alla parte inferiore della catena alimentare, evitando quindi i predatori che si trovano all’apice, che tra l’altro contengono un’elevata quantità di contaminanti persistenti, a favore di bivalvi, crostacei, plancton e alghe, potenzialmente molto abbondanti. Solo così riusciremo a preservare le risorse per le future generazioni e salvare davvero il nostro mare. Fondamentale anche ridurre la pesca di pesce azzurro utilizzato per produrre i mangimi necessari per l’acquacoltura: è molto meglio imparare a mangiarlo e prepararlo recuperando le specie e le ricette che conoscevano così bene i nostri nonni.
Insomma, Slow Fish 2019 si è concluso, ma il nostro lavoro è appena cominciato. Continueremo a educare e informare e ci auguriamo che le comunità scientifiche e politiche nazionali e internazionali non si dimentichino di questo fondamentale bene comune.

* presidente del comitato scientifico di Slow Fish