Il rapporto tra valori politici e Accademia – che rimanda al più generale rapporto tra lavoratori della conoscenza, in quanto intellettuali, e società – è da sempre controverso: per alcuni, scienze sociali e politica devono rimanere rigorosamente separate. Per altri, esse svolgono sempre e comunque una funzione egemonica perché cariche di valori: meglio dunque utilizzarle nella critica sociale che nella legittimazione dell’ordine esistente – come fa invece il neoliberalismo.

IN QUESTO DIBATTITO si inserisce il bel libro curato da Fabio De Nardis, Antonello Petrillo, Anna Simone, Sociologia di posizione. Prospettive teoriche e metodologiche (Meltemi, pp. 364, euro 24).
Innanzitutto, questo testo non è frutto di un’operazione estemporanea: partendo dal presupposto che una più complessiva svolta nelle scienze sociali italiane può avvenire solo da un lavoro culturale protratto nel tempo, esso costituisce il primo frutto del network di studiose e studiosi Per una sociologia di posizione, fondato poco più di un anno fa (il primo convegno del network si è svolto a maggio del 2022 a Roma Tre) e al quale il manifesto ha offerto spesso spazio.

Ci troviamo, quindi, di fronte a un progetto sfidante e di lungo periodo che ruota attorno al termine chiave «posizione»: per «posizione» – come leggiamo nell’introduzione dei tre curatori – si intende sia il posizionamento critico nei confronti delle realtà politiche e sociali, sia la restituzione pubblica della presa di parola delle soggettività che compongono le società contemporanee. In particolare, di quelle subalterne.

LA SOCIOLOGIA DI POSIZIONE si contrappone quindi alla «sociologia di servizio», tuttora molto radicata in Italia e al livello internazionale, e cresciuta con un’accentuazione della weberiana separazione tra «etica\politica» e scienze sociali. Se il canone della sociologia di posizione si appoggia sulle spalle di giganti come Marx, Foucault o Bourdieu, essa investe una molteplicità di ambiti da decostruire e ricostruire a partire dalla rivendicazione di un punto di vista esplicito: dal rapporto tra Nord e Sud del mondo al genere e alla sessualità, passando per un nuovo approccio alla lettura e alla costruzione delle stesse statistiche pubbliche.

Con quale scopo? Favorire processi trasformativi e generativi – cioè emancipatori – per i soggetti sociali in un’epoca nella quale il tentativo è depotenziarli riconducendo il loro agire e il loro pensare a ciò che è funzionale, volta per volta, alla riproduzione del sistema capitalistico neoliberale. Nell’intenzione dei suoi promotori, quindi, la sociologia di posizione indica la soglia da attraversare: sono poi i soggetti sociali che la devono attraversare, in base ai loro percorsi di vita e alla capacità di costruire nuovi orizzonti nell’azione collettiva.

Questo atteggiamento rifiuta quindi la riproposizione dell’intellettuale profeta a favore dell’intellettuale che si mette al fianco della società e dei movimenti. I quali dovrebbero rimanere protagonisti dei loro percorsi: orientamento in linea con il modo in cui, soprattutto dopo la svolta post-strutturalista e post-coloniale si intende la «nuova critica sociale» in molte realtà universitarie del mondo – in primo luogo in quelle statunitensi d’élite, come Harvard o Berkeley, oggi pesantemente criticate da alcuni per le loro posizioni propalestinesi.

La sociologia di posizione è pluralista nei temi e nelle scelte metodologiche. Trasparente e non ipocrita nel suo proporsi. E dichiara quindi di essere attenta a tenere insieme rigore scientifico dell’analisi e posizionamento etico-politico: si tratta di un tentativo di «quadratura del cerchio» per definizione molto arduo e che rappresenta la principale sfida che essa, come programma scientifico, dovrà affrontare.

DA QUESTO PUNTO DI VISTA, l’analisi e la discussione delle posizioni operaiste e post-operaiste che occupa la parte centrale del volume – per altro senza che in altri saggi del libro tali riferimenti siano necessariamente accolti – è un passaggio senz’altro obbligato e fecondo ma gravido di rischi. Del resto, solo per le «vie ardue si giunge alla verità» e questo invito è forse il messaggio più importante che il libro curato da Petrillo, De Nardis e Simone ci restituisce, proponendosi come un’opera importante nel panorama culturale italiano.