«Se guardo indietro, scatta un solo, solare punto esclamativo: ma che bella vita ho avuto ! E lo dico (e lo ripeto a Picchio, il mio gatto che mi viene accanto quando leggo a letto) adesso che ho passato i 60, piena di pena per tanti che, già a 50, si lamentano di non riconoscersi nella loro vita: ‘È stata quella d’un altro’ ». Anna Galiena – quante vite ? – sboccia nella terza giovinezza : 65 anni il 22 dicembre, la più ‘straniera’ delle attrici italiane, con le sue tre lingue perfette, italiano, inglese, francese, torna periodicamente da Parigi, in cui vive da un quarto di secolo, nella patria d’origine, dove ogni volta è un evento. Attrice nello spettacolo Diamoci del tu, guest star al Film Festival di Pennabilli o al Maremotion a Lipari, da lei inaugurato, leggiadra e festeggiatissima, alla sua ultima edizione con Oltre il confine di Rolando Colla, rimasto invisibile in Italia, sugli stillicidi bellici e psicologici dell’ex-Jugoslavia. Nella suite con vista sull’antico Monastero di Pennabilli (paesino-patria di Tonino Guerra), in cui campeggia il tappetino per gli esercizi mattutini («essenziali per tenersi in forma »), accanto al tavolino dove battagliano il prosecco per l’ospite e i cibi bio che si è portata dalla Francia («unico modo per sopravvivere ai pranzi d’obbligo al ristorante »), maglietta, pantaloni e scarpe da ginnastica, niente trucco, i capelli rigogliosi che s’affollano attorno alla seduzione della bocca, la Galiena s’inerpica, con gioia infantile, su quel punto esclamativo che è la sua vita.
La vita, per lei bella, l’ha fatta super-bella nel 1990 in Francia dove s’è rivelata all’Italia con «Il marito della parrucchiera» di Patrice Leconte, conquistato al primo incontro dalla sua sensualità felina.
Un film-chiave per me non solo per la carriera ma per la scoperta di magie e segreti del set. Per Leconte, il mio personaggio aveva dentro la musica di Dvorak: durante le riprese mi faceva avvolgere dall’ascolto del secondo Quartetto. E, all’orecchio, veniva a suggerirmi odori e sapori della scena da girare: questa situazione deve sapere di vaniglia… L’attore è un reattore: se gli trasmetti gli impulsi giusti, fa tutto quel che gli chiedi ».
Nel 2020, 40 anni dopo, il Film Festival di Lucca preparerà a lei e al regista un omaggio: una festa d’andata-ritorno in Italia. Che ne dice ?
Sono nata in Italia. Un padre d’eccezione, che a me e ai miei quattro fratelli ha fatto subito amare l’arte, negandoci la tv (‘vi renderà stupidi’) e abituandoci a letture e musica, dalla classica al jazz. La prima volta che mi ha portato in un museo avevo due anni e mezzo: una mostra sull’arte russa a Roma.
Una formazione invidiabile.
Sì, ma anche molto borghese: ho cominciato a esistere in Usa. Venivamo educati all’arte ma con il tacito impedimento di praticarla. Fin da piccola, mio padre vedeva in me una futura docente universitaria in letteratura.
Mai e poi mai parrucchiera in un film?
Ma io già a 4 anni stavo alla ribalta: casting tv, recite a scuola. Ero la più piccola allieva del corpo di ballo al Teatro dell’Opera. Per me, fino ai 10 anni, la vita è stata spettacolo: alle feste di compleanno, preparavo i vestitini e facevo recitare gli amichetti. Ma, dai 10 anni, il trauma: studi ‘seri’, greco, latino. Ancor oggi, risento tutta la violenza di quella svolta, di quel cambio di pelle cui sono stata forzata da ragazzina.
Non è riuscita a trattenere le lacrime quando, nella master class a Pennabilli, in inglese e in italiano, ha evocato quella fase di prigionia giovanile.
Ho cominciato a tenermi sotto traccia: studiavo il minimo indispensabile, non dicevo mai quel che pensavo. Ho preso a balbettare. Ero alta, ma sempre curva. In classe i maschi mi chiamavano ‘Funerale’. I ragazzi mi piacevano: l’unico divertimento che allora mi concedevo.
Poi, la rinascita. La seconda vita ?
Me ne sono andata di casa, di colpo, appena raggiunta la ‘maggiore età’: uno choc per tutti, la decisione migliore che abbia mai presa. Sono partita con un materassino e ventimila lire in tasca. Ringrazio ancora mio padre per avermi congelato ogni forma di sostentamento, anche se i miei fratelli, di nascosto, mi portavano da mangiare nella comune dov’ero finita.
Sopravvivenza, da quel momento, in piena libertà. O… quasi ?
Ero una bella ragazza: era il momento della ‘Decameronite’, decine di film boccacceschi a ruota del titolo di Pasolini. Mi chiamavano per parti di protagonista: e io ero pronta a qualsiasi lavoro per arrivare a fine giornata. Ma presto mi son detta: questa non sono io. Non sono io la ragazzina che si tira su le gonne e non sa nemmeno recitare. Era venuto il momento di fare scelte mie senza subire quelle degli altri.
E ha scoperto l’America. È così ?
Ho lasciato l’Italia in autostop. A New York ho trovato un ambiente molto competitivo, ma aperto. Nessuno che ti chiedesse chi ti manda, di chi sei amica: ‘Sali sul palcoscenico e mostraci quel che sai fare’. Non è stato facile all’inizio, digiuna, com’ero, di scuole di recitazione. Mia unica scuola, il volumone del Tutto Shakespeare e Il mestiere dell’attore di Stanislawski.
E a New York è nata una stella.
Prima audizione, primo ruolo di protagonista: la Giulietta di Shakespeare ! Ma c’è anche un dietro le quinte, una vita durissima. Dormivo quattro ore a notte. Di mattina, andavo a far pulizie negli appartamenti, per pagarmi luce e affitto. Pomeriggio, prove. Sera, spettacolo. Recitavo nell’off-off Broadway : non ti pagano, ma ti permettono di esser vista e scoperta dal cinema. Uno studente mi ha chiesto d’essere protagonista nel suo film di fine diploma. Che emozione. Quella notte non ho chiuso occhio: m’è persino uscito il dente del giudizio.
Negli anni 80, la ritroviamo in Italia, in film commerciali e d’autore, da «Sotto il vestito niente» di Carlo Vanzina a «Rorret» di Fulvio Wetzl.
Che incubo : il peggior periodo della mia vita. Da una New York, in cui mi davano la parte e chiedevano la dizione, a casting distratti dove non avevano letto il mio c.v. e non sapevano che avevo lavorato con Elia Kazan o Christopher Walken: scorrevano in fretta le foto, mi chiedevano se avevo il fidanzato e mi invitavano a cena. Tornavo in agenzia, disperata. Stavo per rifar le valigie per gli Usa, quando s’è presentata un’occasione tv, la sostituzione di una che mi somigliava, più polposa, che aveva dato forfait. ‘Chi prendiamo ?’ era stato il dubbio amletico: ‘L’americana! Quella che non la dà !’. L’essenziale era che entrassi nei suoi costumi. Poi, una volta sul set, ho sentito questo commento: ‘’Mazza, oh! Ma questa recita !’.
Dall’Italia alla Francia, dove gira con Yves Boisset («La Travestie») e Claude Chabrol («Jours tranquilles à Clichy»): passo breve e felice ?
La Francia mi ha salvata. Non sapevo ancora una sola parola di francese. Ma avevo capito che in Italia non c’era posto per me : né nel cinema commerciale né in quello d’autore. Per dirne una: in un pranzo a tre, con Nanni Moretti, lui non ha mai sollevato la testa dal piatto, non mi ha nemmeno guardato in faccia. Va bene la timidezza, ma… Anche il teatro mi faceva un po’ ribrezzo. Nonostante le incursioni di Kantor, si sentiva ovunque il birignao del Piccolo di Strehler, tanto che avevo fatto domanda per una borsa di studio in Polonia, da Grotowski. In Francia, ho trovato quel che mi mancava in Italia: il rispetto professionale. Il regista non mi chiedeva di andarci a letto. Nemmeno il produttore.
Eppure, anche la Francia le aveva riservato, all’inizio, una cocente delusione.
Sì, il ruolo, saltato, di protagonista nel nuovo Molinaro. Mi son detta : è il turning point, il destino ti avverte. Per fare l’attrice, avevo rinunciato a una parte di me, l’intellettuale che leggeva due libri al giorno. Sarei tornata alle mie occupazioni analitiche – letteratura, filosofia, matematica –, diventando la Professoressa Galiena, come voleva mio padre: apprezzata non per il fisico ma per il cervello. Ma, proprio allora, s’è fatto vivo Leconte con Il marito della parrucchiera …