Con quasi 38 mila casi e 636 morti, le ragioni di chi chiede un nuovo lockdown appaiono sempre più solide. Il numero di pazienti ricoverati supera il picco della prima ondata: ora sono più di 33 mila. In terapia intensiva i letti occupati in più in 24 ore sono 89 e nel complesso sono 3.170. Il numero dei tamponi eseguiti, quasi 235 mila, mantiene il rapporto tra casi positivi e test al 16%. Escludendo i tamponi ripetuti e quelli fatti per screening, sale però al 28%. Un test su quattro dà dunque esito positivo.

Il nuovo massimo toccato dal numero dei decessi – identico a quello del 6 aprile – fa assomigliare sempre di più la seconda ondata alla prima. La letalità del virus è ben visibile a livello di popolazione. Secondo l’ultimo rapporto del Sistema di Sorveglianza della Mortalità Giornaliera, che campiona circa il 20% degli italiani, sia nelle regioni del centro-nord che del centro-sud già alla fine di ottobre si rilevava un aumento della mortalità di circa il 50% rispetto agli anni precedenti. Dato che nell’ultima settimana i decessi per Covid sono oltre il triplo di quelli registrati a fine ottobre, nei prossimi report l’impatto risulterà presumibilmente peggiore.

Nella prima ondata, il lockdown fu proclamato con meno di duecento morti al giorno e settecento pazienti in terapia intensiva: confrontate con le cifre di oggi, la chiusura sembrerebbe obbligata. Ma ci sono differenze importanti rispetto ad allora. All’epoca, circa i due terzi dei ricoverati e delle vittime erano localizzati nella sola Lombardia. Oggi l’epidemia è distribuita su tutto il territorio nazionale e questo diminuisce la pressione sulle singole regioni. Ma d’altro canto espone al virus anche quelle più fragili. Il report settimanale del Gimbe riassume la situazione attuale: «Un lieve rallentamento dell’incremento percentuale dei casi che potrebbe dipendere sia dall’effetto delle misure di contenimento introdotte a fine ottobre, sia dalla saturazione della capacità di testing». Il punto nevralgico della crisi è negli ospedali: «in 11 Regioni è stata superata la soglia di saturazione del 40% dei posti letto in area medica e in altre 11 Regioni quella del 30% per le terapie intensive».

Il rapporto critica il sistema dei 21 indicatori e delle zone colorate in funzione del rischio: «È tecnicamente complesso – spiega il presidente Gimbe Nino Cartabellotta – soggetto a numerosi “passaggi” istituzionali, risente di varie stratificazioni normative, attribuisce un ruolo preponderante all’indice Rt che presenta numerosi limiti e, soprattutto, fotografa un quadro relativo a 2-3 settimane prima». Il commissario Domenico Arcuri indica una via di fuga nel prossimo arrivo di un vaccino. Per ora c’è solo un comunicato dell’azienda farmaceutica Pfizer. Ma Arcuri, a cui è stata affidata la gestione del dossier, si lancia: «A gennaio prevediamo di vaccinare i primi italiani».

Per distribuire i vaccini non ci si affiderà all’organizzazione sanitaria regionale, in quanto «il governo ha deciso che ci sia una centralizzazione del meccanismo». «Dobbiamo molto in fretta individuare le prime categorie a cui somministrare il vaccino – ha aggiunto Arcuri – e lo faremo in funzione della loro esposizione al virus e in funzione della loro fragilità. Stiamo da ieri organizzando la prima tornata ma anche le successive». Una commissione di 15 esperti sta mettendo a punto un piano di distribuzione, impresa non facile per un vaccino che deve essere mantenuto alla temperatura di 80 gradi sottozero e somministrato in due dosi a decine di milioni di persone