Come è noto, le mascherine mediche erano già una parte integrante delle abitudini giapponesi ben prima che il globo fosse sconvolto dal coronavirus, usate soprattutto durante i periodi in cui le allergie da polline colpiscono molta parte della popolazione, sono ora diventate una sorta di seconda faccia con cui affrontare la quotidianità pandemica. Il periodo che forse più di ogni altro contribuì al largo uso ed all’accettazione della mascherina come protezione contro le malattie virali fu il biennio 1918-20, quando la cosiddetta influenza spagnola giunse anche nell’arcipelago. Questo periodo così lontano nel tempo, in Giappone il 1918 corrisponde al settimo anno del periodo Taisho, sta però tornando in auge, prima di tutto perché nei vari resoconti e libri dell’epoca si ritrovano molte delle problematiche che la popolazione giapponese è costretta ad affrontare ancora oggi, ma anche perché l’estetica ed il modernismo dell’era Taisho sono elementi che continuano ad affascinare ciclicamente. Oggi l’emittente nazionale NHK trasmetterà un nuovo film per la televisione ambientato proprio nel 1918, quando l’influenza cominciò a diffondersi fra la popolazione dell’arcipelago. Si intitola Ryuko kanbo (Influenza) ed è tratto da un racconto lungo dello scrittore Naoya Shiga pubblicato nel 1919, che racconta attraverso la finzione i fatti accaduti alla sua famiglia e le reazioni con cui ogni membro della casa reagì all’epidemia.

IL PROTAGONISTA dello speciale televisivo è uno scrittore, interpretato da Masahiro Motoki, già visto nel premio Oscar Departures, che narra le vicende in prima persona, seguendo lo stile narrativo in voga all’epoca, il watashi shosetsu (il romanzo dell’io). Assieme alla moglie Haruko, la brava Sakura Ando, la piccola figlia Saeko e due servitrici, l’uomo cerca di continuare la sua vita nel bel mezzo dell’ondata dei contagi. Naturalmente il pericolo che non si vede destabilizza la routine di tutti e cambia i rapporti di fiducia fra i membri del nucleo familiare e, come purtroppo spesso accade in queste situazioni, lo si vede in televisione e lo si legge sui giornali ogni giorno, il personaggio interpretato da Motoki finisce per incolpare chi è più debole. Una delle servitrici, interpretata da una delle giovani attrici giapponesi più in ascesa in questi ultimi tempi, Kotone Furukawa, viene infatti additata come «untrice». in quanto si è recata ad uno spettacolo teatrale frequentato da molte persone.

L’EPIDEMIA DEL 1918 e l’attuale pandemia non sono solo riflesse nella narrazione del film, ma, come ha dichiarato lo stesso Motoki, anche nel processo di costruzione del lavoro. Girare un film in condizioni straordinarie è stato difficile ma pieno di piccole gioie. Anche se in Giappone la situazione è stata finora migliore rispetto a quella di altri paesi, almeno considerando le morti registrate per Covid, il numero dei contagi aumenta non appena le restrizioni si allentano, ed al momento una nuova ondata di infezioni sembra essere all’orizzonte. In queste condizioni, sempre secondo Motoki, provare le scene indossando le mascherine per poter toglierle solo al momento delle riprese, tornando a vedere tutto il viso e le espressioni di chi ci sta davanti, è stato tanto complicato quanto rivelatorio. Queste sono le premesse di una storia che per quanto spiegato fin qui si preannuncia come perfetta per i nostri tempi, o almeno un felice auspicio. Ancora secondo le parole dello stesso Motoki, Ryuko Kanbo è infatti un film in cui il protagonista passa dalla totale sfiducia verso il prossimo ad uno stato in cui impara a fidarsi nuovamente degli altri esseri umani che lo circondano.

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