Draghi – come ha denunciato su questo giornale Revelli – si è detto sorpreso per lo sciopero generale di Cgil e Uil e con lui sembrano esserlo anche giornali e tv, nonché Andrea Orlando ed Enrico Letta.

In realtà avrebbe dovuto sorprendere il contrario. Come sia stato possibile il declinare del conflitto sociale proprio mentre le condizioni della working class peggiorano in termini di occupazione, salari e sicurezza sul lavoro e quelle dei ceti medi si deteriorano a loro volta ma non anche a vantaggio del “proletariato”, come all’epoca dell’avvento del fascismo, bensì delle rendite e dei profitti di una esigua élite economica.

Perché quindi nonostante il tasso di diseguaglianza sia aumentato sempre di più dagli anni Ottanta in poi, l’eroe di Gotham city è stato Batman e non Joker? Molti fattori spiegano il fenomeno anche a livello globale: il credito facile che ha alimentato in molti grandi paesi dell’Occidente un apparente benessere fra anni Novanta e nuovo millennio alla luce fantasmagorica della rivoluzione digitale; l’evasione fiscale in paesi come l’Italia; la polverizzazione del lavoro; la disgregazione individualistica della società e la dilagante egemonia dei valori aziendali e competitivi che producono ormai la vita stessa delle persone, facendo sì che anche quando esse contestano l’esistente finiscano per riprodurre il sistema che reca loro disagio (neo-populismo); l’assenza non solo e non tanto di soggettività politiche che dirigano la rabbia e il risentimento in senso democratico-sociale, bensì piuttosto della forza di pratiche collettive che possano costituire un esempio per un’alternativa al neocapitalismo.
Siamo quindi per questa strada arrivati al paradosso per cui Draghi si sorprende che si indica uno sciopero generale quando si annuncia per molti anziani un inverno in cui avranno difficoltà ad accendere il gas?

Quando un paese stremato da due anni di pandemia scopre che la legge di Bilancio premia i redditi più alti, con un sistema fiscale che se non accondiscende alla flat-tax di Salvini, mostra comunque di muovere nella stessa direzione anti-progressiva? Quando la maggioranza boccia la sua proposta di contributo di solidarietà, forse facendo tesoro della lezione secondo cui in questo momento si dà e non si prende, dimenticandosi che il problema è a chi si dà e a chi si prende? Che si indica uno sciopero generale quando gli operai della Gkn e di tante altre fabbriche combattono una battaglia estrema (à la Squid game), in cui il governo sembra del tutto impotente a far valere il loro diritto al lavoro e alla vita, e nel frattempo i super-avvocati gioiscono dei loro bonus?

L’idea del governo è anche, del resto, che le risorse debbano andare a chi le può investire produttivamente a vantaggio di tutti (ai “migliori” insomma) e che dunque non si debba puntare ad elevare le condizioni di tutta la base sociale attraverso politiche pubbliche rivolte al welfare e alla redistribuzione. Ma l’ideologia ordoliberale (che andrebbe sostituita con una di tipo “ordomutualistico”) è disseminata ormai ovunque in un mondo modellato sull’impresa.

Anche contro questi processi di aziendalizzazione e mercificazione si sono sviluppate nelle ultime settimane le occupazioni delle scuole superiori. Si sono levate le voci di alcuni studenti che avvertono di essere diventati dei clienti e vedono il mercato invadere, dopo lungo assedio, la scuola, con i loro docenti sempre più sfruttati e retribuiti con stipendi a cui si è proposto un aumento minimale (si stupiscono Draghi e il Pd che ci sia lo sciopero generale?).

Tempo fa un collega mi mostrò un test sulle abilità trasversali somministrato agli studenti della sua università, in cui si attribuivano i più alti punteggi a coloro che si dichiaravano pronti a sacrificare il loro giorno libero o a saltare una sessione d’esame per il bene dell’azienda privata in cui lavorassero: un indottrinamento che non ha niente da invidiare allo stalinismo e che anzi più di questo è efficace perché si serve della libertà.

Ecco perché la rappresentante degli studenti all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Siena, Rosalia Selvaggi, ha sostenuto (di fronte ad un Mattarella, anche lui, sorpreso) che oggi le università sono diventate “palestre di sfruttamento” in cui avanza la competitività, il classismo, il sessismo e una meritocrazia che legittima la diseguaglianza, esaltando quello stesso modello di sviluppo prestazionale che sta contribuendo a provocare il disastro ambientale e sanitario del pianeta.