Caro Graziano Delrio,
ho notato che al premier Renzi piace farsi fotografare con i bambini e i ragazzi nelle scuole e mi fa piacere, ma non ho ancora capito bene le vostre idee sulla scuola pubblica. A parte le auliche invocazioni sull’investimento nella scuola – solo a parole, al momento, mi pare – ancora si vede poco o nulla di concreto. Riassumiamo un po’. A febbraio Renzi dice: «Priorità all’educazione dell’infanzia». A maggio Renzi, in piazza a Reggio Emilia, promuove l’esperienza di Reggio Children. Ora il governo Renzi, col suo ministro alla scuola, propone l’anticipo scolastico a 5 anni: accorciando la scuola dell’infanzia e accelerando i processi di crescita dei bambini. Uno dei protagonisti di Reggio Children, Sergio Spaggiari, giustamente, si chiede: «È questa la riforma scolastica di Renzi?». E aggiunge: «Cosa ne pensa il sottosegretario Delrio?». Sono le mie stesse domande. E le stesse di tanti educatori e genitori. Che poniamo non a Renzi, né alla ministra all’istruzione ma all’amico ed ex sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio. Proprio perché fino a pochi mesi fa è stato sindaco e conosce bene l’esperienza di Reggio Children.

Dunque, tutto inizia da una delle tante, troppe esternazioni senza vero contenuto del ministro all’Istruzione Giannini. Ributta sul tappeto la vecchia idea di cui si discuteva più di 15 anni fa. Perché? Così i giovani italiani si diplomino a 18 anni e non più a 19. Ministro era Luigi Berlinguer, che aveva come consulenti fior di tecnici e di pedagogisti, che poi decise per il no. Perché rendere obbligatorio l’ultimo anno di scuola dell’infanzia significa aprire nuove scuole dell’infanzia statali – oggi intere aree del Paese sono «coperte» dalla paritarie – e quindi reperire nuove risorse che oggi mancano. Inoltre per far partire la scuola primaria a 5 anni bisognerebbe affrontare la questione dei tempi di realizzazione della riforma: chi ha iniziato a 6 anni come procederà nel proprio percorso scolastico? Dovrà ad un certo punto «fare due anni in uno»? Bisognerebbe poi affrontare il problema degli esuberi di organico nella scuola dell’infanzia. E nei piccoli comuni dove oggi funzionano scuole dell’infanzia con una sola sezione di 15-20 bambini non sarà più possibile tenere aperte tali scuole. Ultima difficoltà, non piccola: la mancanza di risorse finanziarie. Ma la cosa più incredibile e sconsolante è osservare come in tutta questa discussione la dimensione antropologica sia totalmente assente. Possibile che nessuno si chieda se, da un punto di vista squisitamente antropologico e pedagogico, un bambino di 5 anni sia pronto o no per la scuola primaria? La riforma di un sistema scolastico, non va forse affrontata secondo un’ottica «sistemica» e non con slogan ed esternazioni ad effetto?

[do action=”citazione”]Insomma, sulla scuola, sinceramente, il governo Renzi, cosa può e cosa vuole fare?[/do]

Facciamo così: mettiamo al centro i bambini. Come a Reggio Emilia. E se per i bambini, che sono la cosa più importante, fosse meglio iniziare la scuola a 7 anni? Insomma, a quale età si può iniziare ad andare a scuola, per un corretto sviluppo emotivo e cognitivo? Il dibattito, in Italia, è quasi inesistente, oggi. Ma nei primi mesi di quest’anno 2014, per esempio nel Regno Unito, – dove l’obbligo scolastico inizia a cinque anni e di fatto, grazie alla possibilità di anticipare, ci sono bimbi di quattro anni già sui banchi, – è stato molto acceso. E alla fine 130 pediatri ed educatori hanno scritto al Governo una lettera molto preoccupata in cui chiedono che i programmi scolastici anglosassoni vengano modificati, portando l’inizio dell’educazione formale in classe a sette anni, come in Svezia e in Finlandia, dove i risultati scolastici e accademici sono mediamente ottimi e tutte le indagini mostrano un elevato livello di benessere psicologico fra i bambini.

Caro Graziano, ci sono studi approfonditi che dimostrano come alla fine della primaria, i voti di chi ha iniziato l’insegnamento formale molto presto, sono peggiori rispetto a quelli dei bimbi a cui è stato consentito di giocare più a lungo. Questo perché nei bambini piccoli l’approccio «giocoso» all’apprendimento è più efficace delle classiche lezioni della scuola vera e propria, spesso ancora frontali. Ora, ammettiamo pure che il premier e il ministro all’Istruzione non sappiamo queste robe da pedagogisti e pediatri. Tu, però, le sai. Non puoi non saperle. Quindi la domanda d’obbligo è questa: cosa ne pensi tu della proposta del ministro all’Istruzione di iniziare la scuola primaria a 5 anni?

Grazie anticipatamente della risposta che vorrai dare.

Giuseppe Caliceti

 

La risposta del sottosegretario Graziano Delrio

Caro Caliceti,

rispondo alla tua lettera che rispecchia le domande di maestri, maestre, genitori, del mondo della scuola.
Renzi ha detto «educazione al centro» e naturalmente condivido in pieno questo impegno che ha assunto al nome del governo. In questo primo periodo di attività questa promessa si è tradotta con un lavoro intenso, preparatorio, per avviare un grande cantiere italiano di edilizia e manutenzioni scolastiche.
Per questo siamo attualmente in dialogo con 4.400 sindaci che hanno risposto all’appello del premier e con i quali sbloccheremo cantieri fermi per il patto di stabilità in altrettanti comuni. Una via veloce che è nelle nostre mani. Ci sono città e scuole che hanno problemi che a Reggio Emilia sono impensabili.

Quando siamo stati a Secondigliano, siamo usciti dalla scuola con un senso di disperazione per lo stato dell’edificio e della palestra in particolare. Ma ci siamo messi subito al lavoro perché quella situazione si possa risolvere. Forse non risolveremo tutto subito, ma intanto facciamo in modo che il numero più alto possibile di studenti, bambini e bambine abbiano sulla testa un tetto sicuro. E questo è il minimo indispensabile per iniziare a parlare di scuola.

Il resto del discorso è tutto da fare, certo, sono d’accordo, e insieme con il mondo della scuola. L’idea di educazione che porto con me e che trasmetto al governo, è quella dell’esperienza di Reggio Emilia, di tutta la scuola reggiana, dove bambini bambine ragazzi ragazze sono cittadini competenti e la scuola parte di una comunità educante.

Un’idea della scuola italiana che si traduca in fatti – al di là delle emergenze che dobbiamo affrontare – è quello che ci aspetta nei prossimi mesi. Confrontandoci con chi a scuola ci va, chi la fa, la vive, si assumeranno le relative decisioni.

Graziano