La rilevanza del tema del linguaggio nelle scienze umane e nella filosofia ha comportato una forte attenzione per la scrittura nel pensiero continentale. In Francia in modo particolare, per la presenza di filosofi come Sartre che hanno investito il loro pensiero di una forma direttamente letteraria o, al contrario, di chi come Lacan ha rivendicato il ruolo del discorso orale, fino a Derrida che ha fatto della scrittura non soltanto una pratica di pensiero sconfinante nella letteratura, ma anche il centro propulsore della sua teoria. L’elenco potrebbe essere molto più lungo. Per darne ulteriormente conto, si pensi a Blanchot, Levi-Strauss, Bataille, Barthes. Benché in modo più defilato, anche Michel Foucault affronta la questione del rapporto con la scrittura, soprattutto dopo l’attenzione suscitata da La nascita della clinica e Le parole e le cose.
Fra l’estate e l’autunno del 1968, insieme al critico letterario Claude Bonnefoy, direttore della rivista «Arts», Foucault programma una serie di incontri nei quali parlare del suo rapporto con la scrittura. Il bel rischio. Conversazione con Claude Bonnefoy (trad. it. di Antonella Moscati, Cronopio, pp. 86, euro 10) è la trascrizione del primo di quegli incontri che poi si interrompono. Foucault sta lavorando all’Archeologia del sapere, le sue opere precedenti gli hanno dato notorietà e si sente di voler raccontare il suo percorso intellettuale. È un modo per esporre anche la propria autobiografia rimanendo da essa a distanza, mettendole davanti lo strumento professionale, ma al contempo intimo e quotidiano dello scrivere.
Foucault rievoca la sua infanzia e adolescenza, la sua provenienza da una famiglia di medici di provincia che non attribuiscono tanta importanza alla scrittura. I medici soprattutto ascoltano, fanno una diagnosi e prescrivono. Ed è ecco infatti, la prima immagine che Foucault evoca di sé scrivente è quella di chi fa una diagnosi, accerta lo stato delle cose. È solo più tardi, verso i trent’anni che Foucault scopre che la scrittura puòessere anche un piacere. Trovandosi all’estero, nell’impossibilità di potersi esprimere compiutamente in un’altra lingua, la scrittura diventa per lui lo strumento in cui il discorso si manifesta in modo più proprio. Soprattutto nel periodo in cui si trova in Svezia all’università di Uppsala, scrivere diviene un compensativo del linguaggio orale che, a differenza di quest’ultimo, si rivolge in prima istanza a se stessi e poi agli altri. In tale più esplicita dualità di interno ed esterno, la scrittura sembra somigliare ad un dispositivo di soggettivazione: un modo per costruire sé e per rilanciare la propria presenza nella presa pubblica della parola, cosa che capiterà sempre più spesso a Foucault. È proprio in ragione di ciò che avverte il rischio di rimanere troppo prigioniero di tale meccanismo. Forse anche per questo motivo il progetto di interviste viene interrotto. È tuttavia certo che a partire da questa fase, Foucault a volte nei suoi interventi sceglie l’anonimato, adotta delle strategie di dissimulazione di sé autore. Gioca a vedersi come uno «scrivente» che percepisce la scrittura come obbligo e non come vocazione.
Ma, a ben vedere, il cambiamento di prospettiva sulla scrittura non riguarda soltanto la volontà di sopperire alla carenza espressiva della lingua straniera o la coscienza di rimanere intrappolato dentro un dispositivo. Il mutamento di prospettiva riguardo la scrittura avviene anche nel momento in cui si definiscono meglio gli obiettivi del suo metodo archeologico e genealogico. Per Foucault, la follia, il sapere, il potere, la soggettività e l’etica – i temi della sua ricerca – sono delle strutture che si possono e si debbono capire da come si sono storicamente costruite. In prima istanza, è irrilevante e fuorviante stabilire se esse siano filosoficamente legittime o se rispecchiano verità universali e trascendentali. Archeologia e genealogia per Foucault significano capire come la follia, il sapere, il potere, la soggettività e l’etica abbiano raggiunto certe forme, si siano ordinati nel discorso.
La mossa metodologica di Foucault è non cercare di comprendere che cosa siano, ma come siano diventati paradigmi politici, sociali, psicologici. In ogni ricerca archeologica vi sono delle discontinuità, degli scatti che accelerano improvvisamente e che talvolta fanno cambiare anche la direzione di scavo. La scrittura diventa per Foucault l’immaginedella registrazionedi tali discontinuità, esclusioni e inclusioni, come l’inclusione della follia nella letteratura e nelle arti a fronte dell’esclusione del folle dalla società.
Anche in Foucault, se non in prima persona, la questione della scrittura non può non sfociare in quella della letteratura. Ed è anche attraverso questa disanima che si intende meglio quanto per lui siano stati importanti, nel merito e metodo della sua ricerca, scrittori come Raymond Roussell e Antonin Artaud.