Una fazenda dell’interno del Brasile, una famiglia numerosa riunita attorno alla tavola. A capotavola siede il padre, che con la sua «rustica maestosità» afferra il bordo della tavola come se fosse «la ringhiera di un pulpito», praticando il quotidiano rituale di moralizzazione familiare: organizzata secondo una rigida tradizione patriarcale, questa scena di vita domestica e rurale costituisce il fulcro della narrazione in Il pane del patriarca, romanzo che segnò, nel 1975, l’esordio letterario di Raduan Nassar, appena pubblicato da SUR nella traduzione di Amina Di Munno (pp. 169, euro15,00). La parola del padre scinde il bene dal male, definisce i ruoli familiari, indica la strada da seguire per sottrarsi al pericolo intrinseco alle passioni e, soprattutto, impone una legge inviolabile: «l’obbedienza assoluta alla sovranità incontestabile del tempo, senza mai sollevare cenni d’obiezione in questo culto raro». Quella tavola, attorno alla quale non era possibile ingerire «altro pane che non fosse quello fatto in casa», è il centro di un mondo costruito secondo le leggi e i comandamenti del padre, detentore esclusivo della verità assoluta.

Un atto sovversivo
Tuttavia, il recinto tracciato dalla parola dell’uomo lascia intravedere un fuori sconosciuto e misterioso che accende nell’animo di uno dei «commensali» il desiderio di esplorare quel mondo di tenebre e di disordine, posto ai confini della casa e rappresentato da tutto ciò che contravviene alla morale paterna. Il commensale è il diciasettenne André, quinto dei sette figli, il quale con la sua fuga e il successivo ritorno apre uno squarcio nel reticolo di «filo spinato», intrecciato dai sermoni paterni, che delimita e protegge lo spazio domestico.

Mentre allude alla situazione politica e sociale del Brasile che, negli anni Settanta, attraversava la fase di maggiore oppressione della dittatura militare, Il pane del patriarca sviluppa dunque la sua trama intorno al tradizionale conflitto tra l’ordine patriarcale e il desiderio di libertà di un figlio ribelle. André fuggirà, sottraendosi così al «codice di condotta» filiale e a quell’amore implicito nei legami di famiglia: un amore che «non sempre avvicina» e in alcuni casi «può anche dividere», e soprattutto «non sa ciò che vuole». Quello di André non è soltanto un gesto di disobbedienza alla volontà paterna: è anche, e soprattutto, un atto sovversivo che distrugge i fondamenti morali e religiosi su cui poggia la famiglia.

L’allontanamento del ragazzo dalla sua casa non implica solo il rifiuto delle regole, della fatica del lavoro nei campi, della ripetitività del copione familiare, ma costituisce principalmente il tentativo di contenere quel «violento impeto di vita» scoperto in seno alla famiglia e che ne minaccia la sopravvivenza. In questa fuga si nasconde, infatti, un terribile e inconfessabile segreto che sarà poi svelato al ritorno a casa di André, disgregando per sempre l’equilibrio precostituito e sfociando in una vera e propria tragedia.

Ogni parola un seme
Come è stato segnalato da molti critici, il romanzo di Raduan Nassar è una sorta di reinterpretazione della parabola del figliol prodigo; sembra tuttavia che questa riscrittura non si limiti soltanto al testo evangelico, e si configuri, in un certo senso, come un gesto ben più dissacrante e iconoclastico: «un atto di creazione unico e irripetibile – una parodia della creazione divina», scrive Emanuele Trevi nella prefazione al romanzo, che ha lo scopo di portare alle estreme conseguenze l’opposizione tra la parola del Padre e quella del figlio. Contro una logica ottusa, che impone un solo punto di vista e ammette una sola morale, Il pane del patriarca oltrepassa i luoghi comuni, rovescia l’attitudine al giudizio e esibisce una scrittura corporale.

L’intensità e la potenza della prosa di Raduan Nassar si riverberano sulla struttura dell’opera, articolata in trenta capitoli la cui lunghezza varia a seconda del flusso di pensieri e delle immagini che si accumulano sulle pagine. Impetuosa e profanatrice, la parola di Raduan Nassar è, al tempo stesso, originaria di nuovi significati: «ogni parola – dice André – è una semente: porta vita, energia, può portare persino una carica esplosiva dentro di sé: corriamo gravi rischi quando parliamo».