La maggior parte delle volte, le scritte sui muri esprimono dichiarazioni amorose, contenziosi con un’entità terrena o divina, rabbia, frustrazione, esultanza. A questa forma di espressione odiata dai condomini e dai sindaci che poi devono pulire i muri, sono state dedicate anche mostre fotografiche e ricerche non per incentivare l’imbrattamento degli intonaci, ma per documentare i movimenti tellurici che scorrono sottotraccia negli animi delle persone. Ce n’è per tutti i gusti: Se non riesci a uscire dal tunnel, arredalo. Mamma sono Fascista! e sotto Ti abbiamo adottato. Franci ti amo per l’eternità, e se me la dai anche di più. Ti darò tutto come Totti ha fatto con la Roma. Vietato il gioco del pallone e sotto una manina ha scritto Allora ci droghiamo. La notte non porta consiglio, porta solo pensieri del cazzo. C’è un filo logico e la gente inciampa. Ridateci Fonzie e riprendetevi Renzi. Dico solo che «Aprile» è un mese non un verbo. «Ho paura di perderti» lo dici al segnale wifi.

Ogni tanto, poi, ne spuntano alcune che invitano a riflettere sul senso delle nostre vite. È il caso di quella che, pochi giorni fa, mi ha girato un’amica psichiatra e psicoanalista che, leggendola, ha molto riso, un po’ perché la coinvolge come terapeuta, un po’ perché la condivide.

Dice la scritta: Sono turbato, lo so, ma gli psichiatri non mi avranno! Vergata in nero su un muretto umido che regge una cancellata, non si sa in quale città sia stata fotografata, ma poco importa perché gli stati d’animo sono universali e democratici.Che cosa ci vuole dire l’ignoto messaggero? Per prima cosa che vive uno scombussolamento e ne è consapevole. Ammettendo di essere turbato, il signore o ragazzo è perfettamente cosciente che la sua linea emotiva ha alti e bassi e non rispetta dei canoni dati. Tuttavia, pur potendo ricorrere all’aiuto di uno psichiatra, sceglie di non volerlo e lo dichiara al mondo. Quell’uomo preferisce tenersi il turbamento piuttosto che farsi curare. Il perché possiamo solo ipotizzarlo. A guidarci in questa ricostruzione c’è una parola, anzi due, quel Non mi avranno! Non mi avranno fa pensare a un inseguimento, a una lotta fra uno che scappa e l’altro che insegue. Dentro c’è la paura di essere presi per poi essere costretti in un luogo non scelto, a fare cose non volute, a obbedire a qualcosa cui non si vuole sottostare. Non mi avranno dà l’idea di qualcuno che assolutamente non vuole su di sé il potere di un altro. È un urlo di difesa e di libertà. Ma da che cosa? Da chi? E perché?

Qui entrano in gioco i turbamenti che, da una parte, sono avvertiti come un problema, dall’altra sono l’opposto, qualcosa che lo scrivente non è disposto a togliersi di dosso a qualunque costo. Immediatamente mi sono ricordata di quando, nel 1992, un gruppo di attori dell’Accademia della Follia, fra cui Claudio Misculin, fondarono a Rimini un progetto teatrale e culturale. Lo chiamarono «Noi siamo gli errori che permettono la vostra intelligenza», frase tratta, se non ricordo male, da una poesia di Giancarlo Majorino. Colui che preferisce tenere i propri turbamenti piuttosto che arrendersi a certe cure di certa psichiatria è quell’errore. Chi lo definisce tale? I cosiddetti normali, cioè la maggioranza che ha stabilito quali sono le regole da rispettare per far parte della comunità. E se uno a quell’errore tiene? Se sente che in quell’errore c’è il suo spazio di dissenso, la sua forma di lotta o di rifiuto per le forme date e i dogmi? Magari prende in pennello e va a scrivere sotto casa Sono turbato, lo so, ma gli psichiatri non mi avranno! Io aggiungo una petizione: non cancellate quella scritta.

mariangela.mianiti@gmail.com