«Voglia di ripartire ma con prudenza». «Fiducia e responsabilità». «Rischio calcolato». È evidente che Giuseppe Conte, quando alle ormai tradizionali 20.20 si presenta di fronte ai giornalisti per la prima volta in carne e ossa, è consapevole dell’azzardo. Gli auspici sono buoni: 153 vittime, il numero più basso dall’inizio del lockdown, il 9 marzo. Le cifre assolute sono meno confortanti: le curve scendono ma soprattutto in Lombardia restano alte. Se si riapre, e di riapertura quasi totale è giusto parlare, non è perché l’epidemia sia domata, ma perché altrimenti «il tessuto produttivo» non reggerebbe.

IL «CALCOLO» RIGUARDA soprattutto la possibilità di richiudere, magari in modo mirato, sulla base delle indicazioni delle Regioni che «dovranno assumersi le loro responsabilità» perché bisogna sapere che «la curva dei contagi potrà tornare a salire».

È il «Piano di monitoraggio molto sofisticato» il paracadute predisposto dal governo e a gestirlo dovranno essere soprattutto le Regioni. Saranno loro a comunicare oggi i diversi protocolli, che potrebbero anche a volte irrigidire le linee guida nazionali, anticipa l’emiliano Bonaccini. Starà di conseguenza a loro raccogliere i dati, informare e intervenire con tempestività. Il premier ci tiene a evitare di diventare, se le cose non dovessero andare bene, l’unico capro espiatorio.

Comunque, ove mai le Regioni non dovessero agire di conseguenza a fronte di una salita pericolosa del contagio, una clausola di garanzia permette al governo centrale di intervenire direttamente.

NEL MERITO, LE LINEE GUIDA sono quelle, molto morbide, già emerse dal confronto di venerdì con le Regioni e confermato ieri dalla cabina di regia governo-enti locali. Molte raccomandazioni. Pochi divieti.

Circolazione libera nelle regioni e se tutto va bene dal 4 giugno tra regione e regione, come pure tra Stato e Stato, senza quarantena per dare una mano al settore del turismo. Un metro di distanza in tutti gli esercizi che riaprono domani: negozi, bar, ristoranti. Palestre e piscine dovranno invece aspettare il 25 maggio. Per cinema e teatri si arriverà al 15 giugno.

I prossimi passaggi saranno il dl sulle semplificazioni e sburocratizzazioni e il piano europeo. Conte, pur sapendo che dovrà essere diviso tra prestito e sussidio a fondo perduto, si augura che la seconda voce sia cospicua. Infine il vero e proprio rilancio, gli investimenti che dovrebbero avere valore strategico, puntando, promette su «ambiente, digitalizzazione, inclusione».

Il premier glissa sulla domanda che rinvia all’affondo preciso e tagliente lanciato qualche ora prima dal vicesegretario del Pd Andra Orlando, che accusa centrali di potere non solo politiche ma anche economiche e mediatiche di voler rovesciare il governo, con l’obiettivo di gestire in modo diverso le decine e forse centinaia di miliardi stanziati per fronteggiare la crisi.

Quelle manovre, conferma il premier, non sono solo «chiacchiericcio», ma il modo migliore per affrontarle è andare avanti senza perdere tempo, nell’interesse del Paese. Decisamente deludente, invece, la risposta sul credito di quasi 6,3 miliardid che Fca, senza sede legale e fiscale in Italia, ha chiesto con la garanzia dello Stato italiano: «Al di là della capogruppo e delle società, moltissime fabbriche e moltissimi occupati sono in Italia.

Dobbiamo rendere più attraente il nostro diritto societario e non permettere più il dumping fiscale di alcuni Paesi dell’Unione». Nel frattempo, il governo sembra prepararsi, come tutti i predecessori, a inchinarsi di fronte alla ex Fiat.

IL DECRETO SULLE RIPARTENZE era già stato firmato dal capo dello Stato prima ancora che Conte lo presentasse. Il dl Rilancio, invece, ancora non è arrivato sul tavolo di Mattarella, in attesa della bollinatura della Ragioneria dello Stato. Dovrebbe essere pronto per oggi e il premier ne parla con toni più sobri che in altre occasioni. «È importante ma non ci illudiamo che sia la soluzione.

Stiamo dando una mano a chi si trova in gravi difficoltà e gettando un ponte. Questo è il momento di correre e di far correre l’economia». Servirà il prestito del Mes? Conte non lo dice e nessuno glielo chiede. Ma si era già pronunciato in mattinata. Se la Francia chiederà il prestito sulla posizione italiana ci sono pochi dubbi. Ma se dovesse essere la sola Italia ad accedere alla linea di credito, tutto diventerebbe più difficile.