In uno scenario politico/elettorale che forse virerà verso il proporzionale, se «l’intruso» Renzi se ne va dal Pd e tenta di fare un suo partito, è, almeno in parte, nella natura delle cose. Perché sotto un altro punto di vista, la scissione potrebbe essere interpretata soprattutto come conseguenza di un comportamento narcisistico, tipico delle persone di potere incapaci di accettare le proprie sconfitte e di restare «in fila», come si fa di solito in democrazia.

Comunque nella attuale e profonda ristrutturazione del sistema politico, tutti i soggetti vecchi, nuovi e in costruzione, sono in movimento. Adesso si sta smontando un equilibrio che con i 5Stelle era diventato tripolare e però non stava più in piedi. C’è una destra, forte, che si ristruttura e diventa fascio-leghista; e all’opposto un centrosinistra che con Zingaretti tenta di riaccreditarsi come forza di governo in alleanza con i pentastellati (schema che probabilmente si riproporrà anche alle prossime elezioni regionali, mascherato dalle liste civiche).

Se questa è la situazione, appare evidente che gli spazi per chi è motivato da una forte smania di potere, si restringono.

Matteo Renzi alla fine ha rivelato il nome della sua creatura: «Italia viva»; ma se fosse una fiction potrebbe essere «Casa Renzi»: una piccola monarchia che prima di affrontare prove elettorali deve crescere e ha quindi bisogno di tempo.

E tuttavia rischiosa per il governo. Anche se, per quanto il soggetto sia poco affidabile, Renzi dice che lo appoggerà (e a Conte fischiano le orecchie), che non parteciperà a elezioni comunali e regionali (che potrebbe essere il primo vero banco di prova per pesare i rapporti di forza).

L’ex segretario del Pd, anzi ex iscritto al Pd, sostiene che vuole costruirsi il ruolo di nemico numero uno di Salvini, l’avversario da battere. E per raggiungere l’obiettivo tornerebbe utile una prospettiva di legislatura di un governo appena nato, proprio con Renzi nel ruolo di levatrice. L’uscita dal partito democratico può, senza dubbio, aver sorpreso per i tempi scelti. Ma non per la sostanza, vista l’allergia a giocare un ruolo subalterno, più che correntizio, nello sfibrato Pd.

E tuttavia va preso atto che il Partito democratico da oggi è indebolito, che il centro-sinistra è più spaccato, e che quanto è accaduto nell’ultimo anno e mese (un ribaltamento totale dei comportamenti e delle scelte da parte della Lega, del M5S e del Pd), sta rimescolando le carte della politica italiana.

Fino al 4 marzo dello scorso anno, tutto si reggeva in equilibrio. Oggi non più: si gioca una partita a due, ma con più «primedonne» in campo.

Il cambiamento che vediamo potrebbe portare novità anche nell’area dispersa e ondivaga della sinistra, per giocare un ruolo importante, come ha fatto e sta facendo per esempio sul terreno delle migrazioni, del clima, del modello di sviluppo, del diritto ad avere diritti.

Ma ad una condizione: facendo esattamente l’opposto rispetto a Renzi. E quindi puntando sull’unità, non sulla divisione. Puntando sulle donne e sugli uomini, sul collettivo, più che sul potere individuale: di questi capipopolo pronti a rompere tutto se gli togli il giocattolo, il paese non ha bisogno.