La scienza è un’impresa collettiva. Se mai è esistito un tempo in cui le intuizioni di un singolo individuo realizzavano l’avanzare della conoscenza, questo tempo è stato ampiamente superato da una costruzione assai ampia e condivisa del sapere e delle tecnologie.

Le forme di partecipazione più estese e collettive della scienza prendono il nome di citizen science – scienza dei cittadini in italiano. Ovvero la possibilità di includere nei processi di ricerca anche persone che non hanno percorsi di formazione specifici, ma la semplice volontà di dedicare tempo ed energie a progetti di carattere scientifico.

Un metodo di lavoro, al tempo stesso molto pragmatico e sorprendente per i risultati che riesce a fornire, nato nel Nord America nel 1900, quando fu indetto in ambito naturalistico il primo Christmas Bird Count, un censimento degli uccelli svernanti che ancora oggi viene promosso dalla National Audubon Society, coinvolgendo decine di migliaia di birdwatchers.

Le scienze naturali, pioniere di questa filosofia della scienza, continuano a detenere il maggior numero di progetti di citizen science. Esperienze come i bioblitz, i campi di volontariato, i censimenti di specie animali e vegetali sono attualmente fruibili in Italia senza limiti di età o di provenienza geografica e culturale.

LA TECNOLOGIA HA CONTRIBUITO a semplificare le modalità di partecipazione, basti pensare a come un semplice smartphone possa essere uno strumento versatile per georeferenziare, documentare, archiviare molteplici informazioni.
Nel 2011 l’app INATURALIST, utilizzata da centinaia di migliaia di persone nel mondo per identificare flora e fauna selvatica, ha permesso la scoperta di una nuova specie di rana amazzonica mai osservata prima dagli scienziati.
Tuttavia la scienza dei cittadini va oltre la semplice raccolta di dati e vuole essere un’occasione di partecipazione al pensiero scientifico come bene comune, accessibile e democratico.

E’ possibile quindi instaurare un processo virtuoso che faciliti lo scambio di informazioni tra i soggetti coinvolti a vari livelli: università, musei naturalistici, società scientifiche, politici, tecnici di settore, associazioni ambientaliste e singoli cittadini.

PARTICOLARMENTE INTERESSANTE può essere l’attivazione di protocolli di monitoraggio applicati a progetti di conservazione della natura. In questo caso infatti le esperienze di campo per raccogliere dati sullo stato di salute dell’ambiente diventano vere e proprie occasioni di educazione per gli studenti, per i volontari delle associazioni e per tutti i cittadini che le vivono. Partecipare a quantificare le minacce alla biodiversità, osservarne il declino nel tempo, rilevare i suoi aspetti più fragili e preziosi sono processi di consapevolezza che possono facilmente stimolare comportamenti virtuosi e rispettosi.

Proprio su questi temi è nato a Pavia il progetto «BiodiverCittà» che vuole attivare occasioni di partecipazione dei cittadini nella cura della biodiversità urbana. Anche le città infatti ospitano innumerevoli ambienti naturali, o parzialmente naturali, in rapida evoluzion, e moltissime specie animali e vegetali dal più svariato interesse conservazionistico.

L’applicazione di tecniche di gestione sostenibile del verde urbano e della biodiversità rappresenta in Italia un argomento di crescente interesse ma ancora limitato, nel lato esecutivo, a pochi casi virtuosi. Il processo di diffusione di buone pratiche e il cambiamento di mentalità richiedono tempo e soprattutto condivisione di un processo culturale per produrre effetti concreti e duraturi.

DA QUESTE PREMESSE E’ SORTA l’esigenza di costruire una rete di persone e di esperienze a cui offrire l’occasione di mettersi in gioco per comprendere e potenziare la flora e la fauna della città. L’Associazione «Amici dei Boschi», in rete con altre istituzioni del territorio pavese, sta promuovendo percorsi di formazione e di coinvolgimento dei cittadini in azioni concrete che possano realmente contribuire alla crescita della biodiversità e della resilienza su scala locale.

Così nel corso del progetto sono state attivate azioni partecipate di contrasto alle specie invasive alloctone con un impatto negativo sulla biodiversità locale, superando un processo di semplice sensibilizzazione e puntando ad un risultato concreto. Con una veloce ma rigorosa formazione è possibile coinvolgere un pubblico non esperto affinché possa inizialmente identificare le specie aliene e poi raccogliere informazioni sulla loro distribuzione. I dati, opportunamente vagliati e organizzati, permettono di ottenere un quadro sempre aggiornato e dettagliato su cui impostare azione di contrasto mirate.

Diverse sono le app che possono essere utilizzate per inviare le osservazioni agli enti che si occupano di conservazione della flora e della fauna. Regioni come la Lombardia e il Lazio o istituzioni come l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) hanno elaborato prodotti specifici. Altre applicazioni si rivolgono invece a contesti territoriali e naturalistici più ampi. L’utilizzo di uno smartphone consente di georeferenziare molto bene ogni segnalazione e di allegare le immagini nel caso fosse necessaria una conferma delle specie identificate.

A PAVIA LA FASE DI ADDESTRAMENTO è stata avviata nei boschi di latifoglie che costeggiano il Ticino, ma l’obiettivo è quello di raggiungere tutte le periferie e gli ambienti agricoli, per costruire una mappa delle minacce alla biodiversità ed attivare con prontezza possibili azioni di contrasto.

La gestione delle specie invasive è un problema molto complesso che sicuramente sarà rafforzato dai cambiamenti climatici e dalla velocità crescente con cui si muovono le merci e le persone. Costruire una rete di competenze e di attivisti sempre più ampia rappresenta uno strumento di resilienza e di contrasto che merita di essere progettato fin da ora.