La pandemia avrebbe sollevato delle immense questioni di paradigma economico che coinvolgerebbero lo Stato, le imprese, il lavoro e la stessa identità europea. Se la questione del nuovo paradigma fosse assunta come guida delle scelte di politica economica sarebbe lecito reclamare delle misure coerenti. Negli ultimi mesi si è discusso molto degli indirizzi europei circa il Green New Deal, del digitale e della necessità di ri-costruire delle misure a tutela del lavoro capaci di guidare la grande transizione. Next Generation Eu significa giustappunto Nuova Generazione europea, e tutti abbiamo confidato nell’idea di una transizione governata. L’Europa ha fatto la sua parte, sebbene con toni ridotti, ma i governi erano e sono chiamati a qualcosa di grande, soprattutto nelle idee.

In momenti di crisi acuta è sempre difficile progettare e/o programmare; spesso si è frastornati da eventi quotidiani che cambiano le priorità del giorno, ma il “governo della transizione” avrebbe la sua opportunità: la Legge di Bilancio per il 2021. Nel bene e nel male la prossima legge di bilancio delineerà il che cosa, il come e il chi dell’orizzonte che ci attende. Sebbene la Legge di Bilancio non sia ancora disponibile, abbiamo però il Documento Programmatico di Bilancio 2021 del governo da poco inviato alla Commissione europea.

Questo documento assume le proiezioni programmatiche del Nadef, non potrebbe essere altrimenti, e anticipa le misure della prossima finanziaria con nome e cognome e, financo, le risorse ad esse destinate. Troviamo anche i così detti finanziamenti “autonomi e aggiuntivi”, pari a 50 mld tra il 2021 e il 2035, e l’importo delle misure per il 2021, pari a 28,3 mld di euro.

Le misure fiscali, cioè tagli di contributi e agevolazioni, sono preminenti, ed esplicitano la politica economica del governo; gira e rigira la politica economica di tutti i governi è sempre la stessa: riduzione del carico fiscale e sostegno (agevolazione) agli investimenti privati. Solo per fare un esempio ricordo i 13,4 mld di euro per la fiscalità di vantaggio per il Sud e il credito di imposta di 1 mld per nuovi investimenti sempre per il Sud. Senza dissertare sulla opportunità o meno del taglio del cuneo fiscale (a regime pari a 7 mld), è del tutto evidente che il reddito del lavoro, secondo il governo, sembrerebbe non essere un problema legato al mercato primario, piuttosto all’inefficienza del modello fiscale nazionale. Assolutamente vera la seconda questione, ma assolutamente falsa la prima.

Se poi indaghiamo gli investimenti aggiuntivi (50 mld) è difficile intravvedere tra le pieghe il Next Generation Eu. Alla difesa andrebbero 12,7 mld, alle infrastrutture in generale 10 mld, al ministero dello sviluppo economico poco più di 5,3 mld, all’università e istruzione circa 4 mld, alla salute circa 2 mld. Nessuna di queste spese è collegata a Next Generation e digitalizzazione. Non c’è niente di grave in tutto ciò. Dopo 20 anni di abbandono il Paese ha bisogno di tutto. Ma si poteva fare un poco di più?

Si poteva fare di più e meglio. Le agevolazioni fiscali per gli investimenti e le nuove assunzioni come possono funzionare se la domanda aggregata non riparte? Si tratta di tanti e troppi soldi per una finalità condivisa, maggiore occupazione, ma dagli effetti pratici nulli. Se proprio vogliamo ridare al Sud e al Paese un orizzonte legato a Next Generation perché non prevedere degli investimenti pubblici diretti via public utility pubbliche e/o partecipate pubbliche? Lasciare al mercato la transizione è quanto di peggio possiamo fare per noi stessi. Il Sud ha bisogno di tante infrastrutture che il privato non sogna nemmeno di guidare se non per estrarre una rendita. Il pubblico non potrebbe programmare un intervento di 4 mld per evitare che gli acquedotti perdano poco meno del 70% di acqua? Possiamo immaginare degli interventi di ripristino delle aree invase da inquinamento e/o situazioni critiche? Possiamo immaginare l’intervento pubblico nei settori essenziali?

Se il governo non si siede sulle spalle dei giganti (Keynes, Schumpeter, Leon, Robinson…), e persegue la via elettorale della riduzione del prelievo fiscale per lo sviluppo, non perde il governo e il lavoro: lasciamo ad altri paesi ciò che di buono potremo anche fare. Il commento è amaro, ma credo che il ruolo dell’economista non sia quello di assecondare il potere di turno, piuttosto discutere di un futuro migliore per tutti, soprattutto delle “prospettive per i nostri nipoti”.