Certi libri sembrano obbligare anche il lettore a sentirsi scrittore. Non perché ti suggeriscano di scrivere, ma perché l’universo che hanno aperto e che rimane impresso anzi ti zittisce, lasciandoti irretito e teso nel desiderio e nell’incapacità di esprimere esattamente quel che vorresti dire su quanto appena letto. Quell’energia inesprimibile o in attesa di trovare espressione è parte del lascito emotivo di Aspettando i Naufraghi, l’esordio di Orso Tosco per Minimum Fax (pp. 210, euro 16). Un libro che cresce come un’allegoria solo per il piacere di squarciarla e lasciare chiunque senza troppe parole o interpretazioni esaustive da proporre.

SI PUÒ INIZIARE senza dubbio dalla forza espressiva delle sue immagini; il romanzo è aperto da un incipit poderoso. Nell’ombreggiare di un’alba un ragazzo si alza dal letto dopo un amplesso distratto e alterato dalla droga. Siamo all’epilogo di un party privato, in una villetta con affaccio sul mare che pare immersa in un’aura di candida nostalgia. L’improvviso silenziarsi della musica è però un segnale sinistro, tutti gli invitati compreso il ragazzo si appropinquano meccanicamente dentro casa per il rito con cui hanno deciso di uccidersi. Il romanzo potrebbe terminare qui, e invece nasce un protagonista. Il ragazzo decide di prolungare ancora un po’ la sua vita e, perché no, la sua agonia.

FRA LE INFINITE possibilità che questo incipit potrebbe aprire, Tosco pesca sicuramente fra le più impronosticabili, dando il là a uno svolgimento che procede con l’implacabilità e la sorpresa di una sceneggiatura onirica. Su e giù per una mai nominata Liguria di monti e «fasce» a strapiombo sul mare, che pare essere metafora stessa della terra, si aprono vicende spiraliformi che assomigliano a un gigantesco quadro di Bruegel. Il centro dell’azione è un hospice e le storie «terminali» che lo compongono: il padre del protagonista, un infermiere ultras, una suora viscerale, un matto, un dottore morfinomane… mentre l’azione stessa è il loro vorticare semicosciente verso quel destino di tutti e di ognuno, la morte, che i nostri personaggi hanno potuto scorgere prematuramente ma che adesso intacca l’intero scenario del quadro: il mondo.

PERCHÉ IN QUESTA allegoria destinata a fallire è l’intero mondo immaginato da Tosco (cogliendo un sentimento di sicuro aleggiante nell’aria) a essere malato di una malattia incurabile. Le sue cellule cancerogene hanno il profilo di un gruppo terroristico senza nome, senza storia, senza rivendicazioni e ideologia – solo a posteriori e dall’esterno ribattezzato «i Naufraghi» – che come una minaccia certificata da un verdetto corre spedito e ingrossa le fila verso il suo unico scopo: l’annientamento del pensiero e del linguaggio e l’eliminazione di chi ne costituisce l’ultimo baluardo.
I Naufraghi sono già in arrivo. È un universo in discesa e in attesa della valanga, in cui il problema non è evitare la caduta ma viverla. E non solo esistenzialmente: come parafrasare attraverso le parole quella stessa reazione irriducibile che ha il corpo che annaspa senz’aria e cerca di sopravvivere?

EBBENE il grande merito del romanzo sta forse proprio nella rinuncia a rispondere a questa domanda, se non attraverso una lingua ripida, se non mostrando l’esperienza multiforme e immaginifica dell’approssimarsi alla fine. L’intero libro rifugge (e scampa) il grande pericolo della retorica. Non c’è nessun Heidegger, nessuna supremazia del momento terminale in base a una qualche «autenticità». Quel che rimane è solo una vertigine fra speranza e disperazione, fra l’ansimare e il sospirare dell’avvento di cui, e in cui, non si può più parlare e scrivere.
Aspettando i Naufraghi tenta invece di aprire un orizzonte degli eventi, in cui i sensi si acutizzano (tutto scricchiola, le ombre si inspessiscono, il legno sa di umido) e dove la natura (o la pazzia, o la memoria) si riappropria delle cose senza apparire unicamente nella sua forma devastatrice.
A noi non resta che testimoniare l’incedere della fine in questo approssimarsi, come su un crinale da cui poter osservare meravigliati il crollo delle gerarchie, lo sgonfiarsi delle vendette, il confondersi quasi mistico dell’amore più candido con l’odio più distruttivo. Solo per perdere le parole.