Legata a doppio filo con il potere, espressione della forza e del dominio, la politica ci sorprende ogni volta che si incontra con la vita, con la sua complessità e singolarità. Succede sempre più raramente, e proprio qui sta una delle cause, forse quella principale, di questo suo impoverimento capace solo di parlare la lingua dell’egoismo, del tornaconto, del comando.

Tra politica e vita, vita reale, vita quotidiana, vita materiale, collettiva e individuale, è in corso da troppo tempo una lacerazione, una rottura, una crepa che si allarga e diviene distacco che separa. La scelta di Nichi Vendola, e di Ed, ci sorprende proprio in questo, per il fatto semplice e raro di tenere invece strettamente annodata la politica alla vita, alle loro vite. E ci riconsegna un’idea di politica come cartina al tornasole dove si misura la qualità dei diritti, la dinamicità della famiglia, la forza dirompente e benefica dell’amore, la virtuosità delle relazioni. «Non vogliamo fare i testimonial di una battaglia di civiltà. Vogliamo solo vivere in pace».

E infatti, «vivere in pace» non dovrebbe essere la missione, lo scopo della politica in quanto tale? Quanto è distante il bisogno espresso in questa frase dal cumulo di reazioni che con sdegno, persino con disgusto, abbiamo registrato, fatte salve rare eccezioni, dinanzi al modo superficiale di raccontare la scelta di Nichi e di Ed da parte del circuito mediatico di questo nostro Paese? Quella battaglia di civiltà dobbiamo allora farla noi, ognuno di noi, a cominciare da noi stessi. Ed è una battaglia che non si combatte a colpi di dottrina, ma che si intesse di domande, di immedesimazioni, di cultura dell’identità e dell’alterità, di conoscenza e accettazione delle differenze.

Proprio questo, e tanto altro, è quello che ho imparato in tanti anni di frequentazione quotidiana con Nichi Vendola, un insegnamento che è venuto in primo luogo dall’esempio e dal comportamento e che ha portato ricchezza al mio modo, così come a quello di tante altre persone, di intendere e praticare la politica. Per questo ritengo che sia mal posta la domanda di se e quando Nichi tornerà a fare politica. Perché politico è questo suo atto non, prima di tutto, di coraggio o di innovazione, o di libertà, ma di umanità, di vita. Dovremmo tutti riflettere di più e più a fondo, mossi dal bisogno di capire e scavare. Oggi posso dire di comprendere ancor meglio la personalità di un politico che nella sua coerenza mi appare come un uomo che guarda alla vita, al futuro che ogni vita dischiude.