La libertà in Grecia, in particolare ad Atene, è un valore e un diritto innato: «Per noi è naturale che siano i Greci a comandare sui barbari, e non i barbari sui Greci», dichiara Euripide (Ifigenia in Aulide, 1400 sg.), e Aristotele rincara: «Barbaro e schiavo sono per natura la stessa cosa» (Politica 1, 1, 5). Siamo di fronte a una cultura etnocentrica che traeva la sua giustificazione dal mito fondativo dell’autoctonia, secondo cui i Greci si ritenevano privilegiati e superiori perché nati dalla propria terra, a differenza di tutti gli altri, definiti «barbari», ai quali pertanto la libertà non va riconosciuta.

QUESTA CONCEZIONE innerverà l’ideologia democratica ateniese, per cui Teseo, il mitico fondatore di Atene, potrà dire all’araldo tebano: «La città non è nelle mani di uno solo, ma è libera, / e il popolo è sovrano; / tutti i cittadini a turno di anno in anno tengono le cariche pubbliche. / Il povero è il ricco hanno uguali diritti, è possibile al più debole replicare al potente» (Euripide, Supplici, 403 -408).
Democrazia sostanziale, dunque, quella ateniese, dove prevalgono l’individualismo con la libertà di parola (parrhesia) e l’egualitarismo con la parità effettiva dei diritti (isonomia); dove, col sorteggio, uno vale uno, e il singolo non è subordinato alla società. Del resto, Antigone non contesterà le leggi dello Stato in nome di quelle del sangue?

BEN DIVERSO il concetto di libertà a Roma, incardinato su un triplice fondamento: storico, con la cacciata di Tarquinio il Superbo nel 510 a. C. e il solenne giuramento di Bruto «mai più re a Roma»; istituzionale, con l’identificazione di libertas e Res Publica; giuridico, con il ricorso al primato della legge: «Noi tutti siamo servi delle leggi, proprio per poter essere liberi» (Cicerone).
A Roma la libertà, identificata con la costituzione repubblicana e con il riconoscimento formale dei diritti del cittadino (civis), non aveva nulla né dell’individualismo né dell’egualitarismo greco. Ai Romani la libertà dei Greci, fondata sulla parità e non sull’equità, appariva una sorta di licentia.
Ma in seguito, calpestata e sfigurata dalle sanguinose e reiterate guerre civili, a Roma la libertà – e con essa la Repubblica – conobbe il tramonto e la notte. Apparve chiaro che non si dà libertà senza pace (libertas sine pace nulla est) e che per assicurare la pace non c’era altra soluzione che affidare il potere a uno solo: omnem potentiam ad unum conferri pacis interfuit dirà Tacito: il che avvenne, dopo la battaglia di Azio, con la nascita del Principato di Augusto: dimenticato e tradito il giuramento di Bruto, alla libertas si preferì la sicurezza (securitas).
Allora come ora. Di fronte alle emergenze, quali l’immigrazione e la pandemia, e in nome della sicurezza personale e sociale non siamo anche noi disponibili ad alzare le barriere di difesa, invocare leggi securitarie, ricorrere a divieti, inasprire pene, rinunciare a quote di libertà?

LA PARABOLA si compie con Seneca. Archiviati i due valori fondanti della Res publica – il negotium e la libertas – non restava che teorizzare col De Clementia la collaborazione tra il Princeps, il rex iustus, e l’intellettuale. Fallita, con l’esperienza del quinquennio neroniano, anche questa utopia, non restava che il secedere: la scelta del ritiro, la trincea dell’interiorità dove combattere l’ultima battaglia per la libertà ricorrendo anche alla fuoriuscita volontaria (exitus) da questa vita, ovvero al suicidio.
Quanto alla libertas, Seneca, discostandosi dalla cultura dominante romana, crede che essa sia un diritto basato non sulla legge positiva ma sulla legge naturale: uno ius da riconoscere a tutti gli uomini, schiavi compresi perché «l’uomo è cosa sacra all’uomo» (ep. 95, 3 homo res sacra homini):
«L’animo retto, buono, grande può trovarsi tanto in un cavaliere romano quanto in un liberto o in uno schiavo. Che cosa sono, infatti, un cavaliere romano, un liberto o uno schiavo? Nomi nati dall’ambizione o dall’ingiustizia» (ep. 31, 11).

DOPO L’IDEOLOGIA etnocentrica greca (la libertà è proprietà dei Greci), dopo la cultura giuridico-istituzionale romana (la libertà è caratteristica della Res publica Romana), dopo l’universalismo aristocratico stoico (la libertà è marca del sapiens stoico), la parabola si compie con l’avvento del Cristianesimo, che azzera ogni distinzione etnica, giuridica, culturale («Non c’è più giudeo né greco; non c’è più né schiavo né libero; non c’è più né uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù», Lettera ai Galati 3, 28) e inaugura un nuovo nomos, il nomos dell’amore; e una nuova parentela, non quella verticale del sangue, ma quella orizzontale della relazione: la nuova parentela della fratellanza.

  • Professore emerito e già Magnifico Rettore dell’Università di Bologna

 

SCHEDA

Il Festival del Classico, progetto della Fondazione Circolo dei lettori, torna dal 2 al 5 dicembre in presenza a Torino. Presieduto da Luciano Canfora e curato da Ugo Cardinale la 4/a edizione della rassegna apre uno spazio di riflessione intorno alla dicotomia «libertà/schiavitù» con oltre 40 appuntamenti. Ad aprire la rassegna, giovedì 2 dicembre ore 18.30 al Circolo dei lettori il dialogo Libertà e schiavitù. Dall’antichità al mondo globalizzato con Luciano Canfora, filologo e storico, presidente del Festival del Classico, e la storica e giurista Eva Cantarella. Se la schiavitù, o meglio la dipendenza personale giuridicamente sancita, costituì il soggetto passivo della polis e più in generale della struttura sociale del mondo ellenistico-romano, ciò non toglie che essa fu fenomeno ampiamente diversificato, tutt’altro che unitario: al punto che, non a torto, alcuni eruditi di epoca imperiale (da Polluce ad Ateneo) ne compilarono una mappa dalla quale risulta che i confini tra schiavitù e libertà non furono, in quei secoli, così netti. Luciano Canfora (venerdì 3) parlerà di Antifonte oligarca, sdoganatore della schiavitù (a partire da Tucidide e il colpo di Stato, il Mulino)m, mentre la schiavitù nell’antico Egitto sarà affrontata (alle 18) da Federico Poole, curatore Dipartimento collezione e ricerca del Museo egizio e Anna Sofia archeologa. Il libero arbitrio secondo Fedor Dostoevskij sarà al centro della conferenza del matematico éiergiorgio Odifreddi e Marco Caratozzolo, slavista. Sabato 4,  protagoniste saranno Le donne nell’antica Grecia, con il filosofo Mauro Bonazz la grecista  Barbara CAstiglioni , la docente di letterature comparate all’unviersità di Torino Chiara Lombardi.  festivaldelclassico.it