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La sanità alla resa dei conti

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A protestare sono soprattutto gli enti virtuosi. «No all’ultimatum di Renzi»

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 24 aprile 2014

Le Regioni sono sul piede di guerra. Perché pur di evitare i tagli alla sanità, il governo ha deciso di scaricare su di loro l’incombenza di farli. Nel consiglio dei ministri di venerdì scorso, il premier Matteo Renzi, aveva necessità di mantenere a qualsiasi costo l’impegno di dare nelle buste paga di 10 milioni di persone, 80 euro in più al mese. Per farlo servivano però risorse, da trovare peraltro a tempo record. L’ingrato compito di reperirle è toccato ovviamente al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.
Nella bozza del decreto legge in questione che circolava fino al giorno prima della riunione di governo, all’articolo 5, era stato così previsto un taglio al fondo sanitario nazionale di 2,5 miliardi di euro, da spalmare in 868 milioni quest’anno e 1,5 dal 2015. Li ha evitati soltanto un’estenuante trattativa notturna tra i ministeri dell’Economia e della Salute. Al loro posto, nel decreto, è previsto un taglio lineare alle Regioni di 700 milioni di euro. In tempi strettissimi (60 giorni), a loro la scelta su dove risparmiare. Altrimenti sarà lo Stato a farlo al posto delle Regioni, che assieme al trasporto pubblico ne hanno la competenza dalla riforma costituzionale del 2001, spendendo per questi due ambiti una grossa fetta del loro bilancio. Per valutare il peso del provvedimento, il presidente della Conferenza delle Regioni, il governatore dell’Emilia Romagna Vasco Errani, ha convocato stamattina a Roma una seduta straordinaria di questo organismo di coordinamento politico.
A contestare il provvedimento del governo, soprattutto le Regioni virtuose che in questi anni hanno ridotto sprechi e consulenze, ma che pagheranno come quelle meno efficienti. Se nel solo 2013 la Guardia di finanza ha accertato truffe e frodi al servizio sanitario nazionale per oltre un miliardo di euro, il costo della corruzione in questo settore sarebbe pari a ben 23,6 miliardi di euro l’anno, secondo il primo «Libro bianco» presentato questo mese a Roma dall’Istituto per la promozione dell’etica (Ispe). Inoltre, a seconda delle amministrazioni, i costi del servizio continuano ad essere troppo diversi. Basta guardare i dati pubblicati dall’Agenzia per i servizi sanitari regionali (Agenas), che rivelano come una fiala di Epoetina Alfa (per la chemioterapia), viene pagata da alcune Asl 64 euro, mentre altre la comprano per 276. Peggio ancora le protesi, quelle d’anca variano da 284 a 2.575 euro, a seconda dell’amministrazione. Secondo lo stesso ministero, quasi i 2/3 della spesa sanitaria coprono gli stipendi del personale e l’acquisto di materiale, circa 1/3 ruota invece intorno alla medicina privata convenzionata o accreditata. Il risultato è che nell’ultimo decennio la spesa pubblica è esplosa, al punto da costringere lo Stato a commissariare quasi metà delle Regioni italiane. All’insediamento di Renzi, il ministro della Salute Lorenzin (Nuovo centrodestra), come paletto per restare al dicastero anche col nuovo governo, si sarebbe fatta promettere dal premier che non ci sarebbero stati tagli alla sanità per i prossimi tre anni. Guarda caso, si tratta proprio della durata del nuovo Patto per la salute 2014-2017, l’accordo finanziario e programmatico triennale tra governo e Regioni che stabilisce la programmazione del fondo sanitario nazionale e soprattutto la spesa (attualmente di poco inferiore ai 110 miliardi di euro l’anno, il 7,25% del Pil) che dovrebbe servire a garantire, nonostante la competenza regionale, un servizio di pari livello sull’intero territorio nazionale. Quello precedente (del 2009) è del resto scaduto da tempo. «Di quel Patto sono lettera morta il 60% degli impegni e questo non è più accetabile», aveva denunciato il ministro lo scorso 8 aprile. La prima riunione operativa tra Regioni e dicastero per lavorare a questo nuovo patto, si era tenuta lo scorso 28 gennaio. Il giorno del famoso consiglio dei ministri, in cui erano previsti i tagli alla sanità, il ministro Lorenzin aveva ricordato che attraverso quel patto «si possono risparmiare 10 miliardi di euro da reinvestire nella salute stessa». Servono ad esempio 900 milioni di euro per garantire nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea), «fermi in Italia da 12 anni». Questi tagli «non si possono però fare in un mese ma in tre anni, perché derivano però da ristrutturazioni, come negli acquisti dove ci sono ancora tanti sprechi, ad esempio nelle lavanderie degli ospedali, nelle mense o nella gestione dei rifiuti». La Lorenzin chiedeva insomma di lasciare al ministero della Salute e alle Regioni, la gestione concertata di questo risparmio. Ma le cose sembrano viceversa essere andate diversamente.

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