L’appuntamento è ancora lontano, ma non per questo desta meno inquietudine. Il 4 e il 5 di ottobre, in occasione del Forum nazionale russo che si celebra a San Pietroburgo, l’estrema destra di tutta Europa, sono previsti oltre 1500 invitati, si riunirà con i vertici della Russia per creare un “coordinamento permanente”. Una sorta di “komintern dei nazionalisti bianchi”, secondo Le Monde che ha reso nota la notizia. Un segnale che si aggiunge a molti altri e che ha spinto più di un commentatore internazionale a chiedersi se tra i vincitori delle recenti elezioni europee non ci sia stato anche Vladimir Putin.

Dagli euroscettici britannici di Nigel Farage a Marine Le Pen, dalla Lega Nord ai neofascisti ungheresi di Jobbik, la nuova estrema destra che ha fatto il suo rumoroso ingresso nel parlamento di Bruxelles, è infatti divisa su molti punti, ma non sul fatto di considerare Putin il proprio principale punto di riferimento. Un’attenzione ricambiata dal Cremlino. E le tracce di queste liasons dangereuses sono emerse ben prima del voto.

Giusto alla vigilia delle elezioni, il Political Capital Institute di Budapest aveva pubblicato un ampio dossier, intitolato significativamente Russia connection che sottolineava come la Russia di Putin stesse appoggiando alcune delle forze euroscettiche e di estrema destra di tutta Europa. A partire da quelle ungheresi. Un allarme che aveva trovato ulteriore conferma quando l’europarlamentare di Jobbik Bela Kovacs era stato messo sotto inchiesta, accusato di attività di spionaggio a favore di Mosca. Secondo Péter Kreko, dell’istituto di ricerca magiaro, proprio dalla Russia arriverebbero cospicui finanziamenti sia agli estremisti locali che all’Alleanza europea dei movimenti nazionali che riunisce, sotto la guida di Jobbik, neofascisti di tutta Europa. Una delegazione dell’Alleanza è stata invitata alla Duma di Mosca nel 2013.
Il caso ungherese è però tutt’altro che isolato. Come ha spiegato su Foreign Affairs Mitchell A. Orenstein, docente di studi eurasiatici e di Storia russa dell’Università di Harvard, citando diversi documenti riservati, sul libro paga di Mosca potrebbero esserci anche altre formazioni estremiste se non apertamente neonaziste: dai bulgari di Ataka alla greca Alba Dorata.

Se questi casi possono apparire eccezionali, non altrettanto si può dire degli stretti rapporti che intercorrono tra i vertici di Mosca e il Front National di Marine Le Pen? Più volte ospite delle istituzioni russe, o invitata nel paese dai rappresentanti di Russia-Unita, la leader dell’estrema destra francese è una presenza fissa sia delle tv satellitari legate al Cremlino, su tutte, “Russia Today” che della radio “Voce della Russia”. I rapporti tra Mosca, il Front National e l’intero circuito europeo che fa riferimento a Le Pen – spiega un’inchiesta del Nouvel Observateur, dal titolo “Putin, le grand frère de fachos” -, sono iniziati alcuni anni fa per il tramite dell’estrema destra russa e di alcuni ambienti della Chiesa ortodossa legata ai movimenti anti-abortisti, per poi allargarsi ai vertici delle istituzioni russe. «Mosca ha deciso di puntare su Marine Le Pen», scrive Vincent Jauvert.
Così, non deve stupire se a marzo è stata proprio una delegazione dell’eurodestra – oltre ai francesi del Fn, parlamentari del Vlaams Belang fiammingo, dell’Fpö austriaco e della Lega -, ad essere invitata a Sebastopoli per certificare il carattere democratico del referendum dei pro-russi della Crimea. Ad organizzare l’iniziativa, l’Osservatorio euroasiatico, un’associazione di estrema destra belga legata a Mosca che fa parte di un network europeo pro-Putin. Un circuito in cui operano molti esponenti storici dell’estrema destra: nel nostro paese, a dirigere la rivista di studi geopolitici “Eurasia” è Claudio Mutti, già legato agli ambienti dei cosiddetti nazimaoisti.

Del resto, in Italia, la destra radicale, da Forza Nuova a Casa Pound, tifa spudoratamente per Mosca, anche se negli ultimi mesi è alla Lega che spetta il primato in questo campo: il partito di Salvini ha invitato più volte nel nostro paese esponenti di primo piano di Russia Unita.

Gli euroscettici e l’estrema destra guardano alla linea nazionalista, anti-immigrati e anti-gay di Putin, mentre a Mosca – come sottolinea la storica Marlène Laruelle – decisivo per l’abbraccio con gli estremisti neri, risulta l’avvicinamento al Cremlino di Aleksandr Dughin, il più noto intellettuale neofascista locale, studioso di Julius Evola e del pensiero differenzialista di Alain de Benoist. Sulla scorta di quanto scrive Dughin, Putin ha fatto sua l’idea di un polo geopolitico della “tradizione”, sostenitore dell’identità degli Stati-nazione, da opporre al cosmopolitismo “made in Usa”.