C’è un aspetto molto particolare che caratterizza il racconto della sua vita di dirigente politico che Pino Santarelli ha affidato alle pagine di Rosso è il cammino. Un’autobiografia militante (Bordeaux, con una Prefazione di Alessandro Portelli e una Introduzione di Simone Oggionni). Lo rileva opportunamente Portelli nella Prefazione. È un tratto che trascorre continuo, presente sempre nel corso della narrazione. Risulta immediatamente e poi, a lettura ultimata, resta un motivo costante, che si deposita in primo piano nella memoria del lettore come un elemento qualificante del libro. Esso conferisce un andamento speciale al succedersi dei fatti e delle considerazioni (che sono di ordine politico e civile) e fornisce loro una dimensione reale e determinata. Infatti la serie delle circostanze da Santarelli richiamate e vividamente raccontate – le persone, le idee, i casi – ha il suo svolgimento in definiti luoghi che vengono dall’autore puntualmente descritti: le case, le strade e le piazze di Roma, le sue borgate e i suoi quartieri, i palazzi e i monumenti. E Roma emerge così dal libro in una sua forma compiuta e riconoscibile, pulsante nelle dinamiche che la venivano trasformando nel corso di quattro decenni. Una certa Roma, tra gli anni del secondo dopoguerra e gli Ottanta del Novecento, vissuta da una angolatura che declina la misura personale o privata in una proporzione pubblica o politica. Una Roma diversa assai da quella di oggi. Una Roma che, in ogni caso, non incornicia le vicende narrate da Santarelli in un manierato fondale di scena.

Al contrario, Roma costituisce la densa e fitta rete di relazioni e di modi, viva ed attiva, l’ambito reale di condizioni effettive, sociali e di costume, che dettano e talvolta, più propriamente, impongono molte delle motivazioni e molte delle ragioni che compongono i temi di questa autobiografia militante. Per più di un verso si può sostenere, e con buona ragione, che, se non condiziona integralmente, è tuttavia Roma che convalida le scelte di Santarelli, che legittima il loro determinarsi e qualifica il loro svolgersi. L’impegno politico di Santarelli nasce da una educazione ai valori del comunismo e dell’antifascismo che gli sono trasmessi dalla famiglia materna nel paese natale di Scurcola Marsicana, in Abruzzo. Ma quella educazione cresce e matura entro la condizione storicamente determinata che è Roma, dove Santarelli giunge dodicenne nel 1953. «Avevamo – scrive – preso una casa in subaffitto, cioè avevamo una stanza con uso di cucina, in via dell’Arcadia 10 a Tor Marancia, davanti ai pratoni dove qualche anno dopo avrebbero costruito la Fiera di Roma». E ancora: «Io allora non avevo idea di quanto fosse grande Roma, mi limitavo a prendere il 93 da via Cristoforo Colombo fino a piazza San Giovanni in Laterano per andare a scuola. Frequentavo le medie Giovanni Pascoli, che stavano in fondo allo stradone di San Giovanni in Laterano, a cento metri dal Colosseo; qualche volta a piedi andavo da Porta Metronia fino a via Ercolano a trovare mia zia Renata».

Nel 1954 Santarelli inizia a lavorare come ‘ragazzino di bottega’ in un negozio di elettricità «in via dell’Esquilino, a Santa Maria Maggiore». «Avevo tredici anni, ricorda, i calzoni corti e un paio di sandaletti ai piedi». Si iscrive allora alla Federazione Giovanile Comunista Italiana della sezione “Centocelle”. Santarelli si affida alla sua musa topografica e rammenta che: «per arrivarci assieme ad altri giovani compagni che abitavano a Borgata Alessandrina percorrevamo un viottolo lungo la riva del fosso di Centocelle. All’altezza di via delle Robinie c’era un ponticello di legno, tipo quelli che si vedono in certi paesaggi orientali». La formazione di Santarelli corre da allora intrecciando molteplici e varie esperienze di lavoro con l’assidua partecipazione alla attività politica. Egli diventerà un tecnico ricercatore dell’Istituto tecnologie biomediche del Cnr, ma il racconto del ragazzo occupato in diversi precari lavori narra di avventure picaresche in una Roma di cantieri polverosi e assolati, di laboratori artigiani in penombra, di locali notturni dove l’aiuto barman è consumato di stanchezza sul fare dell’alba.