Tahrir ha raccolto le rivendicazioni di tutti gli emarginati della società egiziana: dalle donne ai migranti, dai tifosi di calcio ai poveri, dai lavoratori ai venditori ambulanti. Ma all’incrocio di piazza Tahrir con via Talaat Harb, all’angolo della fermata della metro Sadat e sui cancelli di fronte al fast food Kfc, si svolge un’altra silenziosa rivoluzione. Si raccolgono qui durante le manifestazioni o in normali giorni di lavoro gruppi di giovani omosessuali.

«Passo qui i miei lunedì pomeriggio, spesso incontro amici con cui trascorro la serata, non mi sento a mio agio con la mia famiglia e i miei coetanei perché devo sempre nascondermi», ci spiega Moataz. Si ritrovano in questo punto, o a piazza Ramsis, i giovani omosessuali del Cairo, rigorosamente solo uomini, che passeggiano per le vie del centro e raggiungono il bar Borsa di fronte la Chiesa cristiana armena. «Attraverso Facebook è più semplice organizzare incontri, ma in realtà la mia vita è fatta di frustrazioni e privazioni», ci spiega Hossam. Per questo molti preferiscono passare le loro giornate con omosessuali stranieri in vacanza in Egitto. Ma un alone di tristezza, mista a ottimismo, si legge nei volti di questi ragazzi seduti al Borsa. Si tratta di un caffè molto frequentato, tra i vicoli alle spalle di via Talaat Harb, dove è comune trovare ragazzi gay che si attardano fino all’alba.

Al tavolo con Khaled è seduto Bishoy, cristiano di El-Minia, che continua a chiacchierare con un ragazzo saudita.
Anche i giovani omosessuali egiziani (si sprecano le definizioni dispregiative in dialetto egiziano, da luthi che ha un retaggio coranico a khaul e tekka: termini più scurrili e molto comuni) hanno tentato di fare la loro rivoluzione. Mohammed e Yosri hanno dato per decine di volte appuntamento ai loro amici per una sorta di Cairo Gay Pride in piazza Tahrir, ma non si sono presentate che poche persone, «vestite in modo ridicolo», aggiunge Yosri. Certo non è facile essere gay in un paese come l’Egitto dove tutti vogliono sapere tutto dei propri vicini e l’omosessualità viene negata e stigmatizzata.

Il caso della «Queen Boat»

Non ci sono casi di eclatanti repressioni degli omosessuali egiziani. Ma un episodio è rimasto negli annali. Si tratta del caso della «Queen Boat». Era l’11 maggio 2001 quando ufficiali della polizia e della sicurezza di Stato fecero irruzione su questa imbarcazione ancorata sul Nilo e hanno arrestato oltre cinquanta persone. Era noto che si tenessero a bordo feste a cui prendeva parte la comunità omosessuale egiziana. L’accusa mossa contro alcuni degli arrestati è stata di prostituzione maschile. Secondo testimonianze raccolte da alcuni attivisti per i diritti umani, gli imputati sono stati umiliati fisicamente e psicologicamente, sottoposti a inutili visite anali per verificare se avessero avuto rapporti sessuali. Tuttavia, gli arrestati non hanno mai ammesso di essere omosessuali nel corso del processo.

ll caso «Queen Boat», è stato ampiamente raccontato dalla stampa nazionale e internazionale. L’attivista per i diritti umani, Hosam Bahgat collegò il caso direttamente alla repressione politica della Fratellanza. In quegli anni i Fratelli musulmani accusavano il regime di non fare abbastanza contro le tendenze contrarie all’islamizzazione della società egiziana. E con la puntualità tipica dei regimi autoritari ecco servito il caso «Queen Boat». In realtà, tra il 2000 e il 2005 aumentava notevolmente il numero di arresti di omosessuali in concomitanza con le nuove rivendicazioni della comunità Lgbt egiziana.

Tra cinema e hammam

Per questo gli egiziani hanno spesso dovuto trovare luoghi particolari, isolati, bui o poco frequentati per vivere la propria omosessualità. Un esempio sono i mawlid delle comunità sufi, vissuti spesso da giovani omosessuali come un momento di unica liberazione. Altri luoghi dove sono comuni gli incontri tra uomini sono i pochi e antichi hammam rimasti nella città antica, dal souk del quartiere Bab el-Louk all’antichissimo hammam di Bab Shareya. Il vapore nasconde i volti di questi uomini che spesso festeggiano come in un’eteria il loro addio al celibato.
Un altro tipico luogo di incontro sono i cinema di quartieri disagiati. A Boulaq Abul Ela, nel buio del cinema K., si attardano decine di giovani e anziani che entrano alla rinfusa. Già nel fare i biglietti si coglie l’atmosfera. Ma all’ingresso si apre un luogo incredibile: la luce entra dalle finestre le cui tende sono quasi completamente strappate. Il palco al centro ha statue grandi ai lati, segni di un tempo fastoso in cui il cinema era frequentato da altro pubblico. Mentre thriller e film commerciali scorrono sugli schermi, solo gli occhi di qualcuno sono rivolti alla pellicola: forse gente di passaggio che non sa dove si trova. Gli altri che occupano le sedie semidistrutte del cinema si alzano alla ricerca di incontri.

Un luogo invece frequentato dalla prostituzione maschile per turisti è la spianata antistante la moschea di Imam Hussein. Nella piazza, circondata da negozi di souvenir che portano verso Khan el Khalili, alcuni ragazzi dagli sguardi languidi aspettano seduti sulla cancellata all’imboccatura del sottopassaggio che porta alla moschea di Al Azhar di fronte a un minuscolo ristorante. In piazza Imam Hussein si raccolgono ragazzi poverissimi. Il volto dai lineamenti calcati, i denti irrimediabilmente gialli. Le magliette aderenti. «Passo qui la sera, ma ho una moglie e una figlia che mi aspettano a casa», scherza sorridente il giovane Mustafa. Negli ultimi anni, il Cairo è diventato un centro per il turismo omosessuale in Nord Africa. E così non è raro incontrare soprattutto sudanesi che passano in Egitto alcuni periodi dell’anno. Incontriamo all’Opera House Hammar e Alaa, studenti di ingegneria: «Siamo qui per qualche giorno, viviamo una libertà che a Khartoum è molto difficile da provare», assicurano i due ragazzi omosessuali, mentre attendono l’inizio di uno spettacolo.

In Egitto, la separazione tra i sessi, legata alla morale religiosa, ha forse favorito la formazione di individualità con orientamenti omosessuali. Anche se poi, con il passare degli anni, gli uomini con un passato gay preferiscono sposarsi magari coltivando rapporti di nascosto, raramente coltivando il dissenso. Le rivolte del 25 gennaio 2011 hanno contribuito a dare vigore anche alle campagne di apertura nei costumi sessuali e di difesa per i diritti degli omosessuali sebbene non abbiano acquisito ancora un carattere strutturato e organizzato.