Omofobia è una parola che manca dalla legge Cirinnà – che ha appena introdotto in Italia le unioni civili senza diritto di adozione e senza obbligo di fedeltà tra i partner – e che è mancata completamente durante il dibattito per l’approvazione della legge.

È sfuggito a tutti che il parlamento che ha passato le unioni civili in Senato è lo stesso che non è mai riuscito ad approvare una legge contro l’omofobia. E ciò non stupisce, considerando che concetti, espressioni e sentimenti omofobi sono stati espressi non solo durante il dibattito parlamentare, ma persino dopo il passaggio della legge. La formula più efficace è stata quella del Ministro dell’Interno Angelino Alfano: «È stato un bel regalo all’Italia avere impedito che due persone dello stesso sesso, cui lo impedisce la natura, avessero la possibilità di avere un figlio. Abbiamo impedito una rivoluzione contro natura e antropologica». Alfano ha ragione – ma non nel senso che intende lui.

Ciò cui abbiamo assistito è stato il fallimento di una rivoluzione culturale e antropologica. L’ennesima rivoluzione mancata italiana. Mi posiziono in questo dibattito. Sono un ricercatore italiano in storia negli Stati Uniti, all’Università della California Berkeley. Mi considererei di orientamento politico liberalemoderato. Da circa sei anni vivo a San Francisco, dove spero un giorno di avere una famiglia con il mio partner Andrea. Da circa cinque anni la mia famiglia è al corrente del mio orientamento sessuale. Da allora, parte dei miei familiari si sono trasformati in Cattolici ultrà, pur non avendo avuto in passato forti opinioni in materia di religione. Da allora, la mia famiglia Barilla si è dissolta, è divenuta un ricordo del passato, uno spot pubblicitario in bianco e nero.

Sono un Angelo Matteo Caglioti 2 esempio di emigrazione intellettuale del mio paese, quella nota dei «cervelli in fuga», ma anche di un nuovo tipo: una emigrazione di genere, dovuta al fatto che i miei diritti e le mie possibilità di avere una famiglia con questo nome non sono garantite nel mio paese. E non credo di essere l’unico esule di questo nuovo tipo.
Ho seguito il dibattito sulle unioni civili in Italia prima con curioso interesse, poi con viva sorpresa, e infine con profonda delusione. Con interesse, perché finalmente ho visto articolare nella mia lingua nativa un dibattito che sinora avevo conosciuto solo in inglese. Perché i sostenitori delle unioni avevano giocato una carta vincente nel brandire come arma i concetti di «civile» e «civiltà» che tante volte hanno giocato un ruolo importantissimo nella storia degli italiani. Perché finalmente ho visto personalità italiane della cultura, dello spettacolo e della politica schierarsi in un conflitto che aveva lacerato la mia famiglia. Finalmente il dibattito non era sulla sacrosanta necessità delle unioni civili, ma sulle adozioni, un passo in avanti, si sarebbe detto. Con sorpresa, perché il dibattito sulle unioni civili è stata una opportunità mancata per la trasformazione culturale del paese. Invece di un confronto vero, sulla realtà delle unioni omosessuali e su come adattarle alle caratteristiche della nostra società, la resistenza della politica conservatrice e della Cei ha trasformato le discussioni parlamentari e gli show televisivi in incomprensibili scontri procedurali tra azzeccagarbugli, prima sul voto segreto e poi sulla votazione degli emendamenti.
L’unica eccezione è stata la Lega Nord, che dopo averci abituato Angelo Matteo Caglioti 3 per decenni alle sue battute di razzismo casual su terroni, extracomunitari ed oranghi ha sfoderato tutta la sua crassa omofobia con altrettanta disinvoltura. La vera disgrazia dell’iter parlamentare del disegno di legge Cirinnà è stata la decisione di farlo discutere da uno dei parlamenti più impreparati della storia della Repubblica, un relitto fossile dell’era Berlusconi che purtroppo gli è sopravvissuto. Infine, l’approvazione della legge senza adozioni e senza obbligo di fedeltà tra i partner mi ha lasciato profondamente deluso per il fallimento di una possibile rivoluzione culturale.
Se il fine della legge era quello di approvare un pezzo di carta che ci mettesse al passo con il resto del mondo occidentale formalmente, l’obiettivo di Matteo Renzi è stato raggiunto. Ma se il processo di approvazione della legge doveva trasformare il paese, esso ha miseramente fallito. Sì, la legge ha riconosciuto le unioni. Però ha anche confermato nelle loro convinzioni coloro che ritengono che il matrimonio «tradizionale» è migliore delle unioni gay, le quali restano «diverse», incapaci di fedeltà, e inadatte all’adozione dei figli. Questa legge concede con una mano mentre schiaffeggia ed umilia i suoi cittadini con l’altra. La Cirinnà non ha cambiato niente nella vita civile e culturale del paese. È stata un compromesso al ribasso, invece che virtuoso. Il tutto secondo la logica del «purché si faccia una legge spot qualsiasi, presto e subito» che monca com’è rappresenta una sconfitta per l’Italia. Questa è la stessa logica che ha sacrificato le libertà civili per venti anni di dittatura fascista «purché si facesse qualcosa» ed i treni arrivassero in orario anche in Italia.
I rappresentanti del Movimento 5 Stelle, da veri dilettanti della politica, non hanno capito che l’operazione fascista e liberticida in Angelo Matteo Caglioti 4 atto non era il «Supercanguro», ma il sacrificio delle nostre libertà civili. Il fascismo non ha dovuto eliminare il parlamento per privare gli Italiani dei loro diritti politici. La Lega ha continuato a sfoggiare in aula l’eguaglianza tra razzismo e omofobia a colpi di battute noncuranti e offensive. I Cattolici italiani – non tutti, ma sicuramente nella loro linea ufficiale – hanno voltato le spalle ai loro fratelli e sorelle italiani, nello stesso modo in cui non hanno difeso i loro connazionali ebrei nel 1938 e si sono girati dall’altra parte. Alla fine di tutto questo iter, il Ministro della Repubblica Angelino Alfano può rilasciare un commento che lo squalificherebbe da qualsiasi ufficio pubblico in ogni democrazia occidentale e ne rimane politicamente illeso. Abbiamo fatto le unioni civili, nello stesso modo in cui venne fatta l’Italia nel 1861: senza trasformazione reale del paese, cioè senza rivoluzione sociale, e senza Roma, per evitare lo scontro con la Chiesa.
Ha ragione Angelino Alfano: è stata impedita una rivoluzione antropologica degli Italiani. L’Italia è rimasto un paese antropologicamente omofobo, politicamente miope, e religiosamente ancorato alla distinzione tra regole di fedeltà del catechismo e ipocrisia dei bunga bunga, purché nascosti a casa propria con il sorrisetto da Latin lovers stereotipici.
L’Italia ha perso un altro appuntamento con la storia. Se Gramsci fosse ancora vivo, e se mai fosse esistito un Gramsci della storia di genere, non avrebbe esitato a chiamarla un’altra rivoluzione mancata.