L’interesse che da qualche tempo torna a suscitare il lavoro a maglia sta in quel certo modo di stare al mondo che affiora dietro la trama dove ogni filo si intreccia con l’altro. Una filosofia di vita con un proprio codice, che ricuce personale e politico, sentimentale e universale, rappresentando la metafora perfetta che rimanda all’ordito ancestrale reticolare, dove siamo tutti legati tutti a doppio filo con la natura e tutte le specie tra loro.

FARE LA MAGLIA da secoli aggrega, aiuta ad affrontare le vicissitudini, stimola i neuroni perché parla un linguaggio universale dove si snoda, inoltre, il filo rosso di una narrazione secolare che riguarda l’identità femminile, dando vita dal ’68, all’interno dei movimenti di protesta globali nelle loro varie diramazioni, a una forma di attivismo senza slogan, ma che incide fortemente nelle coscienze.
Da quel momento in poi lavorare a ferri o uncinetto pubblicamente minando alla base la «gabbia di maglia» dello sferruzzare coatto e dell’asservimento, come osserva Loretta Napoleoni economista etica, diventa una dimostrazione di libertà contro gli schemi: gli antesignani movimenti globali nati in America ovvero il revolutionary knitting, il global knitting network e lo yarn bombing, diffonderanno un attivismo radicale ai ferri corti col sistema, che tramite una pratica condivisa sensibilizza la comunità su temi cruciali come la violenza sulle donne, gli stereotipi di genere, razza, le disuguaglianze e discriminazioni sociali, il sistema, lo sfruttamento a fini economici dell’ambiente.

Dritto e rovescio, alto e basso: un periodo dove anche i linguaggi si contaminano tra loro con le neoavanguardie che riprendono il bandolo della matassa dai loro storici predecessori e sottraendo i linguaggi «bassi» alla presunta inferiorità rispetto ai linguaggi «alti», innescano un processo esplosivo che estende l’arte a tutti gli aspetti della vita. Da Maria Lai, Michelangelo Pistoletto e Alighiero Boetti fino a Miriam Schapiro, Magdalena Abakanowicz, Lydia Predominato, Lucy Orta, Toshiko Horiuchi, Liisa Hietane, Bill Davenport, solo per citarne alcuni, Introiettano nelle opere materiali e tecniche creative tessili come espressione di rivendicazione identitaria e di narrazione del sé, sentimentale e politica.

IL RITORNO IN AUGE della pratica del fare maglia negli spazi pubblici e della sua relativa filosofia di vita, da una ventina d’anni a questa parte, vede una nuova proliferazione a livello globale di gruppi di donne e uomini impegnati in progetti condivisi a sfondo politico, etico e sociale per migliorare la vita e dare una forma al futuro: dalle «Australian knitting nanas against gas» e i «Knit» contro il degrado ambientale e per l’accesso all’acqua potabile con il progetto Knit a River, ai «Rock Vandals» che usano lo yarn bombing contro l’industria petrolifera o il nucleare come «Wool against Weapons» e «Strike & Lisel» con il progetto Fluffy Throw-Up, per sfidare stereotipi sessisti e discriminazione razziale come «Yarn Mission», «Ombres Tejedores» e «Yarn Misram», fino a «Pussy Hat Project» che con orecchie di gatto rosa a maglia, ha sfilato e protestato contro l’elezione di Trump.
La crescita esponenziale di questa forma di attivismo sociale, avviene grazie a persone che si incontrano condividendo luoghi di lavoro e di vita, come i «knitta caffè», dagli Usa all’Europa passando per i Paesi Bassi, Austria e Inghilterra, dall’Oklahoma all’Australia all’Alaska, Nuova Zelanda, Svezia, Cile e, dal 2012, all’Italia.

L’URBAN KNITTING inizia casualmente quando nel 2005 nel Texas Magda Sayed ricopre la porta del suo negozio con un patchwork di lavori a maglia e un copriteiera sulla maniglia, autrice del celeberrimo autobus completamente rivestito a uncinetto a Città del Messico, un lavoro ad alto impatto visivo come il famoso Toro di Wall Street, coperto di maglia di lana e dedicato a tutti i poveri di New York City, con una incursione notturna da parte di Agata Olek nella notte di Natale del 2010, come Mademoiselle Maurice che applica furtivamente i suoi filati provocatori sui muri come graffiti.

DA «KNIT THE CITY» primo collettivo di knitting graffiti fondato da Lauren O’Farrel («deadly Knitshade») che – praticando lo yarnstorming – racconta storie all’uncinetto, proliferano miriadi di gruppi tra cui «Knitta Please» fondato da Magda Sayeg, che ha recentemente coperto novantanove tronchi d’albero con elaborati cozies in maglia a colori sgargianti. C’è poi «Crowdknitting», la cui missione è creare in collaborazione progetti ambientali e urbani a sostegno di iniziative sociali, ispirati ai principi del Manifesto dello Yarn bombing, Knittache, mentre «Knittedlandscape» ricopre di rose a maglia le strade cittadine dissestate o i nidi di uccelli abbandonati sulle grondaie arrugginite, e «Masquerade» è il gruppo che si attiva di notte per coprire la segnaletica stradale e i cartelloni pubblicitari con singolari pattern lavorati a maglia.

I primi due collettivi italiani sono invece «Knittami», che si propone di colorare la città con filati, ferri e uncinetti e «Knitting Relay», che attraverso il web ha reclutato collaborazioni per la realizzazione di un grandissimo lavoro a maglia eseguito a staffetta, coinvolgendo praticamente tutto il Paese.
A detenere il titolo di queen dello yarn bomber è Grace Brett, ultracentenaria scozzese che con la crew Stormer Souter ha ricoperto di recente a colpi di uncinetto i principali punti di riferimento di Selkirk, Ettrickbridge e Yarrow in Scozia, mentre Licia Santuz con il collettivo «Knittingbaires» è stata la pioniera argentina del vestire gli alberi.

I collettivi sfociano in una miriade di movimenti giovanili capaci di coinvolgere intere comunità per luoghi più vivibili attraverso il loro recupero e riuso, sottratti al degrado, per l’incontro e lo scambio intergenerazionale, la valorizzazione delle pratiche artigianali e il loro valore politico e identitario, ma soprattutto per rinsaldare il legame con l’ambiente quasi del tutto compromesso.
La loro forza è proprio l’autenticità della condivisione di progetti e iniziative per contesti urbani e territoriali, come a Canberra, in Australia, dove decine di volontari hanno lavorato a maglia, realizzando sciarpe e calze XXXL per colorare le foreste del National Arboretum in occasione del Tree National Day, o il gigantesco murales ambientalista condiviso di Warm in Australia che, nei suoi intenti, vuole sottolineare come la distruzione dell’ambiente sia, in realtà, l’olocausto di tutta l’umanità.

IL MOVIMENTO GLOBALE di lungo corso di urban knitting e yarn bombing, nelle sue varie declinazioni di yarnstorming, guerrilla knitting, kniffiti, o graffiti knitting, è vivo e vegeto perché agisce sotto copertura secondo una modalità ironica, sottilmente provocatoria, giocosa o inaspettata, attraverso l’aspetto confortevole dei filati sovrapposti all’ambiente e al contesto sostiene un’anomala rivoluzione silenziosa e senza strappi per gli stessi ideali, tessendo una rete umana, sociale ed ecosolidale all’insegna del Knit power.
Una pratica che crea un’arte pubblica ecosostenibile con materiali flessibili e riciclabili, resistenti, ma soggetti alle aggressioni atmosferiche, con interventi removibili e tempi ridotti di installazione, contro l’asetticità, il grigiore, l’anonimato e il degrado, che profila una «Gaia urbanistica» spontanea, inclusiva, flessibile e coloratissima di ecosistemi relazionali e reti vitali tra città e ambiente, nel recupero delle tradizioni locali, sconfinando in parchi, giardini o lungo le sponde dei corsi d’acqua.

IL CENTRO STORICO come la periferia, la metropoli e le piccole città sono invase da un vero e proprio bombardamento a raffica di filati, manufatti, e pattern tessili, anche di forte impatto visivo su cartelloni pubblicitari, muri, pali, semafori, transenne, statue, fontane, alberi, strade, ringhiere, veicoli, per riappropriarsi degli spazi cittadini dimenticati o dati per scontato, reinventandoli, o per far convergere l’attenzione sulle criticità e ipotizzarne la trasformazione come nel caso di «Mettiamoci una pezza – Una città ai ferri corti», un’azione partecipativa di urban knitting e dedicata al centro storico di L’Aquila nell’occasione del terzo anniversario del sisma.
Il lavorare a maglia può aiutarci ad affrontare la grande trasformazione epocale che stiamo vivendo, attraversarla senza farsi travolgere significa riprendere in mano il bandolo della matassa della propria vita e viverla sul filo di lana della consapevolezza di farcela tutti insieme come fibre della stessa tessitura.