Spesso la storia intraprende strade che non conosciamo, o almeno le attraversa, pensare al Canada, alla sua zona francofona in questo caso, come spazio necessario e vitale di avanguardie a suo modo rivoluzionarie può dunque risultare inusuale. L’edizione che si è appena chiusa di DocLisboa, festival quantomai necessario in giorni come questi, ha ospitato la retrospettiva «Another America – The Unique Cinema of Quebec»; un viaggio splendido quanto fondamentale nel riscoprire le tracce di una cinematografia quasi scomparsa, gli embrioni di una produzione unica e le diverse traiettorie dell’oggi. Perché la storia dei film, prima di quella del cinema, passa anche per Montreal, grazie a istituzioni illuminate e pionieristiche come il National Film Board, attive già con uno sguardo alla sperimentazione nella seconda metà degli anni ’50. Proprio da quel periodo arrivarono i primi pionieri, René Bail (autore del seminale Les désoeuvrés),Michel Brault e Gilles Groulx. Si filma in strada, il divenire della vita (come nello splendido À Saint-Henri le cinq septembre di Hubert Aquin), lo sport e l’evasione (La lutte e Rouli-roulant, il primo in coregia ed il secondo di Claude Jutra), il rapporto con la terra come il paesaggio (ad iniziare dal fondamentale Pour la suite du monde dello stesso Brault con Pierre Perrault).

 

 

Il senso più stretto di questa piccola (ma al tempo stesso enorme) rivoluzione del fare e del pensare il cinema, anticipatrice di molte modernità mondiali, sta proprio nella libertà di espressione. Tutta la realtà è filmabile, anzi filmarla significa donarle una dignità nuova, senza nessuna estetizzazione, nessuna spettacolarizzazione, nessuna messinscena.

 

 

L’esperienza filmica del Quebec è legata al lavoro collettivo, ad una forma politica del linguaggio e dell’espressione che mostra la dialettica delle anime come delle cose, in una terra dalla straordinaria complessità storica e sociale che questo cinema riesce miracolosamente a raccontare. Da un genio oscuro del montaggio come Arthur Lipsett alla vorticosa creatività animata di Norman McLaren il Canada francofono degli anni ’60 e ’70 è stato un laboratorio d’espressione radicale e giovanile capace di condensare l’approccio più puro al documentario con uno sguardo alla finzione estremamente autoriale, l’innovazione più estrema verso il cinema diretto. Fondamentale fu anche l’apporto femminile a questa esperienza; da Anne Claire Poirier a Caroline Leaf fino ad autrici più recenti come Jeanne Crépeau e Céline Baril, ci donano visioni di una particolarissima sensibilità nel ricollocare il quotidiano.

 

 

Allo stesso modo questa retrospettiva si é interrogata anche su quale possa essere stato il futuro, e quale lo sia ancora oggi per il cinema canadese. Ci sono Denis Côté, Claude Cloutier e Dominic Gagnon, ma il senso stesso dell’unicità di quella esperienza collettiva pare venir meno. Rimane l’idea di’affermare un’autonomia ed un identità «autoctone» della cultura (come del cinema) quebecois ma senza la forza vitale della ridiscussione del reale .

 

 

Esemplare è in questo senso Trop c’est assez di Richard Brouillette, ua lunga conversazione (andata avanti per diversi anni) con Gilles Groulx. Brouillette era giovanissimo quando lo incontrò per la prima volta anni dopo il grave incidente che costrinse l’autore di Le Chat dans le sac, Entre tu et vous e 24 heures ou plus al ricovero in una clinica per anziani. Negli occhi dolcissimi di Groulx, nel suo attaccarsi alla bottiglia, nella sua speranza più disperata vive l’altro lato di questa esperienza oramai irripetibile; l’obliodegli anni di lotta contro la censura per l’affermazione di una libertà che rappresenta ancora la straordinaria anomalia del cinema del Quebec. Rimane la nostalgia, una malinconia cupa da riversare in dipinti e ricordi con la convinzione ferrea e romantica che la coerenza di una sfida possa vincere la morte e il silenzio.

 

 

Groulx scompare nel 1995, proprio quando Brouilette iniziava il montaggio di questa opera cosi intima e dolorosa. Resta a noi riscoprire la flagranza di uno sguardo innocente che ci invita continuamente ad amare e a interrogare ogni piccolo frammento del reale intorno a noi.