«Chi stai chiamando ‘troia’? Tu non sei una troia o una puttana. Devi farglielo capire». Con queste parole Queen Latifah apre U.N.I.T.Y., una canzone del ’93, che rappresenta una denuncia lucida e senza mezzi termini del mancato rispetto che le donne subiscono quotidianamente: nelle strade, in ambito domestico e nella cultura hip hop. Argomento tanto più rilevante e d’attualità considerando che ad aprile si celebra negli Usa il Black Women’s History Month. U.N.I.T.Y. ha avuto un impatto dirompente sulla cultura popolare statunitense, diventando un inno e un punto di riferimento per il femminismo hip hop.

La canzone ha permesso a Queen Latifah di vincere il Grammy Award per la migliore performance rap solista nel 1995, un trionfo che ha avuto un’influenza significativa sull’industria musicale, spianando la strada a future generazioni di artiste rap.

Gli anni Ottanta in America furono segnati dalla presidenza di Ronald Reagan, che promosse una politica economica basata sul liberismo e sul laissez-faire. Il suo mandato fu caratterizzato da un clima di ottimismo e fiducia nel progresso, alimentato da una crescita economica e da un rinnovato senso di patriottismo. Tuttavia, non tutti beneficiarono del boom economico reaganiano. Le fasce più deboli della popolazione, come le minoranze e le comunità urbane, si trovarono ad affrontare disuguaglianza e marginalizzazione crescenti. In questo contesto di compiacimento generale, l’hip hop emerse come una voce dirompente che diede parola a chi era stato fino ad allora ignorato.

La musica divenne un potente strumento di denuncia sociale, capace di portare alla luce le contraddizioni e le ingiustizie della società americana. Ma se l’hip hop si fece portavoce di una realtà scomoda, non rimase immune dalle contraddizioni del suo tempo. All’interno di un contesto dominato dagli uomini, il sessismo permeava la musica rap come un virus. Le donne, spesso relegate a meri oggetti sessuali, venivano rappresentate in maniera stereotipata e denigratoria.

Con l’avvento del gangsta rap negli anni Novanta, la musica rap si trasformò in un inno all’eccesso e all’ostentazione di ricchezza. La denuncia sociale cedette il passo alla celebrazione del materialismo, mentre l’ambientazione si spostò dai ghetti metropolitani ai lussuosi yacht. Le donne diventarono trofei da conquistare, oggetti sessualizzati da esibire come status symbol. Nei videoclip dell’epoca, corpi succinti e pose provocanti alimentarono il voyeurismo del «maschio alfa» che dominava la scena hip hop.

UN MESSAGGIO
Nel contesto di quel maschilismo dilagante, Queen Latifah si affermò come una voce rivoluzionaria, usando il suo talento per promuovere un messaggio di femminismo e rispetto per le donne. Già dai primi album, All Hail the Queen e Nature of a Sista’, Latifah esplorava temi come il potere e l’emancipazione femminile. Il suo singolo del 1990 Ladies First, in collaborazione con la rapper Monie Love, celebrava la forza e l’indipendenza delle donne in tutti gli ambiti della vita, anticipando temi che oggi sono comuni in artiste come Beyoncé e Taylor Swift.

Il terzo album di Latifah, Black Reign del 1993, conteneva la canzone U.N.I.T.Y., una risposta diretta al sessismo dilagante nella cultura hip hop e nella società in generale. Il brano affronta temi come le molestie sessuali, la violenza domestica e la mercificazione del corpo femminile, ponendo la responsabilità del possibile cambiamento sia sugli uomini, sia sulle donne. Latifah non si limita a denunciare, ma incita all’azione. Il ritornello diventa un mantra che esorta le donne a unirsi contro le avversità e a celebrare la propria forza.

La canzone è un inno di speranza e di empowerment, un invito a non abbassare mai la testa di fronte alle ingiustizie: «Non permettere a nessuno di definirti/Non permettere a nessuno di limitarti/Non permettere a nessuno di dirti chi sei». Inoltre, parla di unità in particolare della solidarietà tra uomini e donne nere: «Dobbiamo unirci, sorelle e fratelli». La frase «Amare un uomo nero dall’infinito all’infinito» illustra l’amore profondo e incondizionato che l’artista prova verso la sua comunità, in particolare verso gli uomini afroamericani.

Come nello storytelling, il videoclip della canzone, diretto da Fab Five Freddy nel cuore di New York, offre uno sguardo potente e visivamente accattivante sul messaggio della rapper. Avvolta in una felpa con cappuccio, Latifah sfida le convenzioni di genere mentre si fa strada attraverso vari luoghi pubblici della metropoli. Con audacia e determinazione, la rapper si appropria di abbigliamento e spazi urbani tradizionalmente riservati al genere maschile, trasformando la propria esibizione in un manifesto di emancipazione e cambiamento sociale.

PANORAMA VARIEGATO
Grazie a U.N.I.T.Y., figure come Da Brat hanno potuto mantenere il proprio stile rude e autentico, raggiungendo lo status di platino come prima rapper donna. Allo stesso modo, l’eclettismo musicale e l’attenzione a temi sociali e politici di Lauryn Hill, definito da un femminismo intersezionale che abbraccia la complessità dell’esperienza femminile, si è intrecciato con il femminismo provocatorio di Lil’ Kim e Foxy Brown che sfrutta la sensualità per sfidare la definizione patriarcale di femminilità, dimostrando la varietà di sfaccettature che caratterizzano le rapper femminili.

Oggi, il panorama della musica hip hop femminile rimane altrettanto diversificato. Rapsody, per esempio, con le sue rime intricate e i concept album introspettivi, porta avanti l’eredità di U.N.I.T.Y. con un femminismo intellettuale e consapevole. Allo stesso modo, Nicki Minaj con il suo straordinario talento e la sua versatilità musicale ha aperto la strada a una nuova generazione di artiste. Il suo femminismo è multiforme e inclusivo: dalla sensualità all’ambizione, dalla forza all’indipendenza.

Cardi B e Megan Thee Stallion rappresentano una nuova era del femminismo hip hop, che celebra la sessualità femminile e l’abbattimento degli stereotipi di genere. Le loro canzoni e video musicali sfidano le concezioni tradizionali di femminilità e invitano le donne ad abbracciare la propria sessualità e il proprio corpo senza alcuna vergogna. Dal canto suo, un’artista come Beyoncé, con la sua grande influenza sulla cultura pop e conseguente allargamento massiccio di pubblico, rappresenta un’ulteriore evoluzione di questo femminismo, sospinto da una musica che celebra l’indipendenza femminile.

L’uso del termine «bitch» da parte di Latifah, così come delle altre artiste citate (e non solo) non perpetua la pratica patriarcale di degradare le donne. Piuttosto, seguendo il concetto di agency di Judith Butler, Latifah si riappropria del termine per i suoi scopi, proprio come accade con il termine «nigger». Questo atto di appropriazione del linguaggio trasforma la parola «bitch» in un’espressione che descrive chiunque manchi di rispetto verso gli altri, indipendentemente dal genere. In tal modo, queste rapper trasformano espressioni che feriscono in strumenti di resistenza.

È importante sottolineare come il femminismo hip hop, pur non demonizzando l’uomo afroamericano, ne sfidi le rappresentazioni misogine e inviti a una maggiore consapevolezza di genere all’interno del movimento. Ognuna di queste artiste rappresenta un’istanza differente di questo discorso, ognuna con le sue peculiarità e il suo messaggio e, in un panorama musicale in evoluzione continua, nuove voci emergono, confrontandoci con nuove sfide e nuove interpretazioni. Senza il messaggio di unità e rispetto di Queen Latifah, il panorama musicale odierno sarebbe profondamente diverso: le sue liriche hanno aperto la strada a una nuova era di espressione e di consapevolezza femminile.