Cinquantadue chili bagnato – lo precisa lui stesso – un sorriso gentile, mani callose, i sandali ai piedi. Anche un colibrì può essere rivoluzionario. Pierre Rabhi, origini algerine (1938), è uno dei pionieri dell’agricoltura ecologica in Francia: un contadino che non vive della terra ma con la terra, un filosofo senza cattedra. Uno che non solo professa la necessità di cambiare il mondo, ma propone soluzioni e, soprattutto, le applica.
Esperto internazionale per la lotta contro la desertificazione, ha fondato negli anni Novanta Terre&Humanisme, nel 2002 si è candidato alle presidenziali, nel 2012 ha lanciato la campagna «Tutti candidati». Pochi anni prima aveva dato il via alla rete Colibris (60 mila aderenti e 15 gruppi locali), ispirata a un’antica leggenda amerinda. Un giorno ci fu un incendio nella foresta. Tutti gli animali erano terrorizzati e osservavano inermi il disastro. Solo il piccolo colibrì prendeva nel fiume gocce d’acqua col proprio becco per gettarle sul fuoco. L’armadillo, infastidito, lo derise: «Colibrì! Ma che fai, sei pazzo? Non è con queste gocce d’acqua che riuscirai a spegnere il fuoco!» L’uccellino rispose: «Lo so, ma io faccio la mia parte». Ecco, fare la propria parte. Lo scorso 30 gennaio, a Parigi, Rabhi, davanti a 3 mila persone, ha lanciato la (R)évolution des Colibris. In Francia i suoi libri vendono decine di migliaia di copie (Manifesto per la terra e per l’uomo, Add), in Italia è arrivato in questi giorni. Stasera sarà ospite del festival Cinemambiente di Torino, che presenta la video-intervista di Carola Benedetto e Igor Piumetti, Il mio corpo è la terra. È una delle tappe del tour organizzato dall’associazione il Cerchio (e Festival per sentieri e remigranti) e da Aicare.

Monsieur Rabhi, quando ha iniziato a coltivare la terra e perché?

Arrivo dal Sud dell’Algeria. Mio papà faceva il fabbro ma anche il musicista e poeta. Costretto a chiudere bottega, andò in miniera. Dopo la morte di mamma, vengo affidato a una famiglia francese. A vent’anni, interrotti gli studi, vado a Parigi e inizio a lavorare come operaio. Punto d’osservazione importante per comprendere la condizione dell’uomo nella modernità. Tre anni e capisco che non voglio più vivere in città. Conosco Michelle, che diventerà mia moglie. Decidiamo, nel 1960, di andare a vivere in campagna, in Ardèche. Non avevamo acqua e luce, né sapevamo coltivare la terra. Ho iniziato a lavorare come bracciante in un’azienda agricola, rimasi scioccato dalla quantità di pesticidi. Prendo i libri di Steiner e Pfeiffer sull’agricoltura biologica. E quella terra arida torna a vivere insieme alla nostra fattoria.

Cosa intende, in poche parole, per agroecologia?

È la somma di agricoltura ed ecologia: rispetto per la terra, l’ambiente, l’acqua e l’uomo. Parlo, di autoproduzione e niente profitto, come succede nell’agricoltura mercantile, che impoverisce il suolo. È falso quando si dice che si può sfamare solo con quella. Ci sentiamo spesso impotenti, invece, se la forza partisse da ciascuno di noi…

Dal 1981 incominciò a battersi contro la desertificazione e per lo sviluppo delle terre aride in Africa. Fu invitato in Burkina Faso. Quale il risultato?

La proposta di un metodo agronomico ha funzionato. Il presidente del Burkina Faso Thomas Sankara voleva estendere questi metodi in altri Paesi ma è stato ammazzato. Oggi, nonostante le difficoltà, l’agroecologia sopravvive in Tunisia, Marocco, Burkina, Mali, Nigeria.

Qual è la sua opinione sulla politica agricola del governo Hollande?

Nel 2002, parlavamo di insurrezione delle coscienze, ma tuttora il livello agroecologico in Francia è basso. È un problema di sistema. La politica stessa, quindi anche Hollande e il suo governo, lo considera solo un elemento parziale e non motore di un cambiamento globale. Uno sguardo miope. Ieri mattina sono stato in una scuola di Trofarello (Torino). Mi ha emozionato, ho visto grande interesse nei bambini. Ma ero preoccupato, stiamo lasciando un mondo invivibile.

Che mondo lasciamo alle future generazioni?
Stiamo distruggendo la biosfera vivente. La deforestazione è incessante, come l’attacco alla fauna. Stiamo divorando le risorse. Un quinto del pianeta consuma i quattro quinti. Ci siamo impegnati a creare macchine per sterminare l’umanità, non un altro mondo. Non possiamo più permetterci di fare errori.

Parla spesso di bellezza, come può cambiare il mondo? E quali sono le pratiche che dovremo intraprendere?

Non basta la bellezza dell’arte, dobbiamo trovarla in noi. Con pratiche agricole per l’autonomia alimentare delle popolazioni, nel rispetto dell’uomo e della natura. Scuole con orti e stalle costruite per insegnare la biodiversità e il lavoro manuale. Una pedagogia alternativa in cui si sperimenti la solidarietà, la sobrietà felice con le donne, cuore del cambiamento.