Fra Lucca Comics and Games 2018 e dintorni, un altro storytelling sembra possibile: arriva in Italia Li Kunwu, autore del romanzo grafico in tre volumi Una vita cinese. La parola a uno fra gli ospiti internazionali più interessanti di una manifestazione sui comics che mai come quest’anno, in omaggio al motto «Made in Italy», indaga sul rapporto fra la nostra e le altre culture fumettistiche.

I tre volumi di «Una vita cinese» sono allo stesso tempo un romanzo di formazione e un grande affresco storico, il tutto attraverso un linguaggio che si distacca molto dal fumetto mainstream asiatico. Qual è la più importante lezione che ha imparato dal fumetto nella sua carriera di autore?

In passato il mio lavoro creativo intorno al sentimento e allo spirito popolari si concentrava su tutti i possibili aneddoti, racconti ed esperienze di vita, poi i racconti illustrati hanno imposto di confrontarmi con i sentimenti e il modo di pensare degli individui e con la storia. Ciò ha fatto sì che imparassi a guardare ai problemi servendomi di un numero maggiore di punti di vista.

Dal primo al terzo libro di «Una vita cinese» si può notare un costante e meticoloso lavoro sul segno e la composizione delle tavole, che nel corso della storia si fanno sempre più ampie e spettacolari. L’impressione generale è quella di una netta evoluzione in termini di storytelling.

Dal primo volume, attraverso ripetute modifiche, ho imparato a raccontare le vite dei miei personaggi grazie al metodo cinematografico dello storyboard, che presenta profonde differenze con lo stile dei classici volumi illustrati cinesi. Rivedendo i miei lavori mi rendo conto ancora oggi che rappresentavo la realtà in maniera semplicistica, ma da questa semplicità emergeva anche una certa grazia ingenua; la mia tecnica si è affinata con il tempo e adesso posso ritenermi soddisfatto.

A giudicare dal trattamento di alcune tavole, viene da pensare che il bianco e nero che pervade gran parte delle pagine dei suoi romanzi grafici sia una scelta stilistica, piuttosto che una questione di costi di stampa…

Amo il bianco e nero, anni fa ho studiato xilografia.

Mentre i tre volumi di «Una vita cinese» sono nati tutti in collaborazione con lo sceneggiatore Philippe Ôtié, le sue ultime opere nascono tutte in solitaria. Come mai?

Ôtiéha dato un notevole contributo alla mia crescita artistica. Tuttavia i suoi impegni lo portano a lavorare sul mercato internazionale, per noi è molto difficile riuscire a incontrarci, ma resta un carissimo amico.
Mentre il fumetto giapponese è ben conosciuto e apprezzato anche in occidente, il fumetto cinese sta cominciando ad affacciarsi nelle nostre librerie solo negli ultimi anni. In Cina ci sono ottimi illustratori che purtroppo non hanno ancora imboccato il metodo giusto, ma il Paese al momento presenta buone prospettive. Ciò che al momento mi dispiace e mi fa sentire impotente è l’enorme impatto della Rete sui giovani, che crea del resto un notevole ostacolo allo sviluppo del fumetto cinese.

Recentemente lei sembra aver mostrato un grande interesse per la pittura tradizionale a inchiostro. Quali sono i punti in comune e le differenze rispetto al suo lavoro con il fumetto?

La pittura tradizionale ha un ruolo altamente rappresentativo dell’arte e della tradizione cinese. Ho scoperto di poterla utilizzare per interpretare e tratteggiare al meglio lo sfondo delle mie storie, per fornire al lettore un’immagine più ricca e sofisticate della vita e dei paesaggi cinesi. La mostra in Francia è stata accolta con favore. Sono il primo ad utilizzare in questo ambito la pittura tradizionale cinese.

Attualmente, la Cina può essere considerata a buon diritto una superpotenza. Uno status che emerge ogni giorno dalle pagine della cronaca internazionale, ma che sembra comportare in egual misura opportunità, ma anche rischi.

La Cina non è ancora una superpotenza, ma la sua posizione la rende sempre più influente nelle dinamiche globali e ciò rappresenta una novità rispetto alla sua storia millenaria. Oggi il Paese deve fronteggiare questioni complesse, che io stesso, devo ammettere, non riesco a comprendere appieno. D’altro canto sono convinto che i processi di apertura e di riforma mettano in moto meccanismi che allo stesso tempo creano conflitti e li risolvono, solo che questa macchina gira sempre più velocemente. Con i miei lavori non sono in grado di offrire una spiegazione personale e soggettiva ai problemi, ma registro il processo da un punto di vista oggettivo. D’altra parte si tratta di questioni cui non avevo assolutamente pensato quando, oltre 10 anni fa, iniziai a disegnare fumetti.

La Cina che emerge dai suoi romanzi grafici non è priva di aspetti controversi. «Una vita cinese» non ha mai avuto problemi di censura?

Una vita cinese non è stato sottoposto a censura in Cina, il testo della versione originale francese e di quella in traduzione cinese è il medesimo. Tra l’altro, nel 2013 il libro è stato premiato con il più alto riconoscimento cinese in materia di fumetti al Festival Internazionale del Fumetto di Canton.