La vera rivoluzione, a volte, sta anche nelle cose semplici o apparentemente banali, cose che però nessuno osa mai dire o fare. Per paura. E per non volersi sottrarre all’omologazione. Proprio per questo motivo, forse, quando accade siamo tutti un po’ spaesati, sorpresi. Ma il disorientamento che provoca con i suoi spettacoli Silvia Gribaudi, coreografa e performer torinese, è un disorientamento che ti fa sentire bene e finalmente libero/a anche di ridere del proprio fisico. I suoi sono corpi felici che danzano oltre gli stereotipi e che aprono nuovi spazi di bellezza. Li abbiamo visti quest’estate in vari festival teatrali, da Inequilibrio a Santarcangelo, e li vedremo ancora anche nelle prossime settimane: R.osa, per esempio, sarà a lunedì all’Insolito Festival di Parma, il 5 agosto a Granara, il 26 agosto a Bassano del Grappa, l’8 settembre al Festival Castel dei Mondi di Andria.

Silvia, ci parli di lei. Quando è nato il suo amore per la danza?

La danza è sempre stata la mia passione. Insomma, ero la classica bambina che sognava di fare la ballerina. Ho iniziato facendo ginnastica artistica, in seguito ho frequentato una scuola di danza dove si sperimentavano un po’ tutti i generi, ma nel frattempo sono diventata un perito chimico industriale. All’inizio facevo cose più neoclassiche, ho collaborato con la Fenice di Venezia e con il Teatro Regio di Torino, e intanto studiavo danza contemporanea e facevo le mie prime esperienze in Francia. La danza è stata liberatoria per me rispetto alla chimica. Ad un certo punto però il mio corpo è cambiato e non rispettava più i canoni del balletto classico. Non è stato semplice rinnovarsi dentro ad un cambiamento fisico. Avevo un’immagine di me che piano piano si allontanava da quello che ero, per cui soffrivo, ma grazie alla pratica buddista che seguo dal 2001 sono riuscita a comprendere e a capire come poter trasformare quella difficoltà, quel limite nella mia più grande fortuna e così poi ho scoperto altre qualità, per esempio che potevo essere anche comica. Ho provato a fare cabaret e su suggerimento dell’attore padovano Vasco Mirandola ho iniziato a intraprendere un percorso artistico sulla comicità e il clown. Ho sentito la necessità di parlare del mio corpo in maniera diversa.

E nel 2009 è nato A corpo libero, dove riesce a ridere e a far ridere del corpo.

A corpo libero per me è stata una grande sorpresa. Tutto è partito da una necessità: sentirsi a proprio agio con il corpo. Una necessità che è venuta fuori anche durante i laboratori che ormai da anni conduco con le over 60. In questo spettacolo, per esempio, faccio danzare tutte le parti del corpo, perfino la parte più molliccia delle braccia, proprio sotto le ascelle… Il mio tentativo è simile a quello di uno scultore che cerca del materiale umano da trasformare in opera d’arte.

Come deve essere il corpo per esprimere bellezza?

Ecco per me non esiste il corpo perfetto o imperfetto, a me interessa valorizzare ogni diversità. Ogni fisicità è unica. Dunque, bella. Chi ha detto che la cellulite è brutta? Soffrire per come siamo oggi è diventata una schiavitù. Il corpo è la prima cosa che col tempo vediamo cambiare, per questo in genere abbiamo un rapporto difficile. Ma se invece il rapporto è buono, la questione del tempo si può superare. La tendenza oggi è ad essere tutti uguali. Invece non esiste un modello di bellezza. E’ solo un’illusione.

Quello che dice è quasi rivoluzionario di questi tempi in cui si tende, appunto, all’omologazione…

In effetti mi rendo conto che lo è. Se vado in un negozio di abbigliamento in Canada so di trovare taglie grandissime, in Italia no. Spesso vediamo delle ragazzine costrette ad infilarsi taglie xs anche se non ci stanno, ma va di moda e quindi scelgono la scomodità pur di non rinunciare a quel jeans strettissimo…

Con R.osa, spettacolo da lei scritto e diretto ma interpretato da Claudia Marsicano, il corpo boteriano dell’attrice diventa un corpo che parla, e molto anche. Come nasce questo lavoro?

Ho incontrato Claudia in occasione di un progetto a cui stavo lavorando con Roberta Torre. Cercavo delle taglie 48. Tramite La Corte Ospitale, che produce lo spettacolo, ho conosciuto Claudia. Avevo in mente da tempo qualcosa sul concetto di osare da fare con il corpo ancora più in libertà. E la performance è nata, anche con il supporto di Armunia, nel 2016 in forma di studio. Claudia è continuamente una sorpresa. I suo è un corpo politico, è un corpo che parla anche quando cammina per strada. Questo è uno di quei casi in cui l’attore si mette al servizio dell’autore. Il suo talento senza dubbio cattura.

Il suo obiettivo, quindi, era parlare di libertà del corpo, come si deduce anche da un altro lavoro, What age are you acting?, dove lei è in scena don Domenico Santonicola, entrambi completamente nudi in scena.

Questo è uno spettacolo che nasce da un progetto europeo di dialogo intergenerazionale sull’invecchiamento attivo verso l’arte della danza: Act your age. E da un percorso di ricerca sulla trasformazione del corpo. Di Domenico, che ha quasi 70 anni e ha lavorato per una vita nelle forze armate scoprendo l’amore per la danza a 40 anni, mi è piaciuta la sua leggerezza nel rigore. Anche qui torna il concetto di osare. Ma la sua nudità è invisibile. Non ostentata. Anche quando io entro in scena nuda trovo che sia così naturale che serve molto anche a me, perché imparo tantissimo dalla reazione del pubblico. Il clown nudo è un modo per me di lavorare sulla comicità, con un corpo estremo, un corpo con le curve. Diciamo che Domenico è la parte visionaria e poetica dello spettacolo, io sono quella comica.

Parliamo dei laboratori con le donne over 60 (il prossimo a Rubiera, presso la Corte Ospitale dal 16 al 22 luglio): sono come le note a margine di un libro dedicato al corpo. Cioè alla fine tutto ruota sempre attorno allo stesso concetto.

Be’ sì, i laboratori con le over 60 vanno avanti dal 2011 e non si fermano mai. Ci sono donne – soprattutto le bolognesi – che mi seguono sempre. Mi accompagnano. Ed è una cosa bella che nasce dalla loro necessità di scoprire quella voglia di stare insieme. E’ come se questi laboratori itineranti fossero delle residenze artistiche over 60, cosa che nessuno si sognerebbe di fare. E così loro si sentono protagoniste, si sentono delle opere d’arte.

Ci racconti l’esperienza televisiva di “Vieni via con me”, la trasmissione condotta da Fabio Fazio con Roberto Saviano. Come è andata?

E’ stata un’esperienza bellissima, grazie a Roberto Castello, che ha curato la coreografia e ha chiamato tanti artisti. Io ero lì con A corpo libero. E’ stata un po’ un’azione politica. Spero che anche i prodotti di qualità possano arrivare in televisione.

Dove, per esempio?

A Gazebo! Mi accontenterei di stare lì per 5 minuti. Ecco ho lanciato l’appello. Ora chissà.