Una città in mutazione che viene attraversata da progetti artistici e urbanistici reversibili, concepiti in collaborazione con gli abitanti, per ricreare un tessuto sociale lacerato. È questa, in sostanza, l’idea generata da Reconquête urbaine, uno dei progetti votati dai parigini (arrivato terzo in ordine di preferenza), nell’ambito dell’iniziativa di «bilancio partecipativo». È un’esperienza messa in atto dal 2014 dalla sindaca Anne Hidalgo, che devolve ogni anno il 5% del budget di investimenti previsti per la città per la realizzazione di interventi scelti dai cittadini attraverso un processo democratico (proposta venuta dal basso e poi voto).

IL FINANZIAMENTO prevede una spesa di cinquecentomila euro, per il periodo 2014-2020 (a marzo ci saranno le elezioni comunali), destinati a «incarnare» le idee che riguardano, in particolare, alcuni quartieri popolari. Obiettivo, far crescere la partecipazione degli abitanti, i giovani soprattutto – al primo posto è stato votato un programma di «giardini sui muri» (vegetalizzazione urbana), al secondo figura «coltivare nella scuola» con gli orti didattici, al quarto un’iniziativa di cernita tra gli scarti e al quinto un progetto di coworking.
Reconquête urbaine quest’anno ha anche ricevuto il premio Défis urbains. Quattro della decina di progetti selezionati sono stati affidati al Polau, Pôle de recherche et d’expérimentation des arts de la ville, un laboratorio di urbanismo culturale che si è occupato del coordinamento delle azioni, pilotate dalla missione Metropoli del Grand Paris.

I SITI AFFIDATI al Polau sono una strada nell’XI arrondissement e tre «porte» sul périphérique, la grande via di scorrimento automobilistico di 35 km che circonda la capitale, come un «muro» che separa Parigi dalla banlieue, costruito tra il 1956 e il 1973 sull’area dove sorgevano le antiche fortificazione del comune di Parigi. È qui che ogni giorno viaggiano più di duecentocinquantamila veicoli.
I progetti sono stati ultimati l’anno scorso e ora sono gli «ispiratori» per interventi perenni, a partire dalle opere transitorie realizzate. Le tre «porte» sono nate in zone abbandonate, insalubri, che segnano le vecchie frontiere della città. Si tratta di territori senza una vera anima, anche se attorno al périphérique e ai 105 passaggi di ogni tipo che lo attraversano (pedonali, per biciclette, per automobili) abitano circa trecentomila persone. Sono aree «senza o con poca qualità urbana – spiegano Maryline Tagliabue e Maud Le Floc’h del Polau – si attraversano, si passano, si fuggono, si occupano, si ignorano, si preferisce non fermarsi». Sono luoghi di relegazione, a volte si trasformano in rifugio d’emergenza per la popolazione più precaria, immigrati e poveri.

Passage du Miroir

L’AMBIZIONE sottesa ai progetti è un «ricorso all’azione estetica come strumento per avviare una trasformazione dolce dei siti in un contesto di città in mutazione»: per quanto riguarda le tre «porte», tutte situate nel nord-est urbano, sono zone inserite nella trasformazione del Grand Paris, che dovrà far svanire la presenza escludente della circonvallazione ed estendere la capitale oltre i suoi confini attuali (ripetendo un processo che è sempre avvenuto nella storia passata, con i successivi allargamenti del comune di Parigi).
Così, si è pensato di trasformare questi spazi negletti con interventi artistici o paesaggistici: luci, pitture, proiezioni, schermi, affreschi, bassi rilievi, arredo urbano, il tutto in forma reversibile, per permettere di accogliere ogni anno nuove attività culturali e creative.
Alla Porte de Montmartre, il gruppo Encore Heureux Architectes, che ha partecipato a un progetto anche durante la Cop21 nel 2015 a Parigi, ha concepito un Passage Miroir, in riferimento ai Passages del XIX secolo che caratterizzavano Parigi. Un intervento sul suolo e sui muri con materiali di recupero (specchi e pannelli di legno), realizzati in stretta connessione con iniziative locali: la zona non è lontana dal mercato delle pulci di Saint-Ouen e tre giorni la settimana sotto il périphérique si tiene un «mercato degli straccivendoli», con i conseguenti problemi di vicinato che insorgono.

L’OPERAZIONE ARTISTICA del Miroir è servita ad abbassare le tensioni, sedare i conflitti, facendo collaborare abitanti e «straccivendoli», avviando esperimenti di economia circolare, consegnando valore a iniziative sociali locali, collaborazioni con associazioni, come la Fabrique des Impossibles.
Alla «porta» del canale dell’Ourcq, che è un nodo di circolazione, dove passa un tramway e non lontano ci sono già importanti elementi di riqualificazione dell’area, come la Philarmonie de Paris, la Villette, il Centre National de la Danse, ma anche persistono attività industriali (il cementificio Lafarge), sono stati installati alcuni segnali luminosi che accompagnano, orientano e disegnano in situ i molteplici flussi che attraversano questo passaggio.

QUI LA COLLABORAZIONE degli abitanti, guidata da cooperative come Les Arts Codés o dall’atelier grafico Malte Martin, ha coinvolto non solo i parigini, ma anche gli abitanti di Pantin, cittadina della prima banlieue, ormai destinata a entrare nel cerchio della capitale con il progetto del Grand Paris.
Alla porta della Villette, non lontano, nella place Auguste Baron, che tutto sembra meno che una piazza, ma dove c’è un rond-point assediato dalle automobili e alcuni squat – è uno fi quei luoghi che attende una rigenerazione in vista delle Olimpiadi del 2024 – il gruppo 1024 Architecture (formato da architetti e artisti) attraverso laboratori pubblici con i cittadini di Parigi, Pantin e Aubervilliers, ha avviato un programma di auto-costruzione di arredo urbano. E con il progetto Delta è stato reinterpretato lo spirito dell’ingegnere e pioniere del cinema che dà il nome alla piazza. Il risultato ha visto una riabilitazione dello spazio pedonale: la realizzazione è una scultura architettonica luminosa sospesa sul périphérique e due sculture longilinee in legno, metallo e luci.
La collaborazione si è poi allargata alle scuole locali. Nell’XI arrondissement, in rue Fontaine-au-roi, quartiere popolare dalle molteplici identità, l’Anpu (Agenzia nazionale di psicoanalisi urbana) ha svolto «un’operazione-divano». Un’attività terapeutica con gli abitanti per affermare un «Io urbano», marcando a terra tredici «entrate» nel quartiere battezzato Babelville (da Babele e Belleville, zona limitrofa), un lavoro realizzato dall’artista Gonzague Lacombe in collaborazione con chi lì vive, le associazioni e il centro sociale.