Ancora una brutta giornata per il governo dopo la pubblicazione da parte dell’Istituto Nazionale di Statistica delle informazioni complementari sul mercato del lavoro.

Il numero di posti occupati da lavoro dipendente, quel che Istat definisce posizioni lavorate, diminuiscono dello 0,8% tra il primo trimestre del 2015 e lo stesso periodo del 2014, mentre rispetto all’ultimo trimestre dell’anno scorso la riduzione appare più contenuta (0,1%). È soprattutto nell’industria che si registrano dati fortemente negativi, con un calo dei posti di lavoro occupati del 2,8%, mentre aumentano quelli nei servizi (+0,4%) trainati dagli ex-interinali, come riportano gli indici grezzi nel confronto con il primo trimestre del 2014.

In termini generali le posizioni lavorative in somministrazione (ex interinali) aumentano «in termini congiunturali, del 6,9% e, in forma grezza, del 18,8% rispetto al primo trimestre 2014». I posti vacanti aumentano, secondo il dato non destagionalizzato, dello 0,1% su base annua: a fronte di oltre tre milioni di disoccupati, l’offerta di lavoro da parte delle imprese non mostra alcun segnale di ripresa.

Il monte ore lavorate mostra un aumento «dello 0,5% nell’industria e una diminuzione dello 0,1% nei servizi» rispetto all’ultimo trimestre del 2014, ma rispetto al primo trimestre del 2014 si nota un calo speculare dello 0,5% nell’industria e un aumento dello 0,3%. nel settore dei servizi.
In termini di ore lavorate per dipendente, invece, l’aumento tendenziale è dell’1% nell’industria e una riduzione dello 0.3% nei servizi. Ma se nell’industria diminuiscono sia le ore totali sia i posti di lavoro, ma aumentano le ore lavorate per dipendente, ciò significa che i lavoratori sono chiamati a fare più ore per mezzo degli straordinari che infatti aumentano rispetto al 2014 dello 0,1% e rappresentano il 3,6% del monte ore lavorato.

Un segnale positivo viene invece dalla Cassa Integrazione Guadagni (Cig) che diminuisce di 21,9 ore per ogni mille ore lavorate tra il primo trimestre del 2015 e il corrispondente del 2014. Anche le retribuzioni complessive paiono aumentare seppure sono anch’essi dati grezzi da prendere quindi con le pinze.

I dati parlano da sé e non sembrano mostrare alcuna ripresa, confermando semmai una situazione di stagnazione. Appare quindi insolito il comunicato che l’Istat rende noto dopo aver pubblicato questi dati e in cui ostenta un messaggio di fiducia circa gli evidenti segnali di ripresa del mercato del lavoro, tenuto conto di quanto abbiamo visto durante tutto il primo trimestre di quest’anno.

Dati che l’Istat si guarda bene dal rinnegare ma che interpreta come segnali di ripresa: aumento dell’occupazione esclusivamente per la componente anagrafica oltre i 55 anni, la stessa che traina la riduzione degli inattivi, aumento del Pil inferiore all’occupazione che porta con sé un’economia a bassa produttività, calo – ancora una volta- della domanda interna per beni e servizi da parte delle famiglie e immobilismo degli investimenti in capitale da parte delle imprese.

L’informazione statistica di qualità offre ai cittadini la possibilità di interpretare, seppure in modo sintetico, la realtà e di valutare l’azione di governo, come queste impattano non soltanto sulla vita privata di ciascuno di noi, ma anche sulla società attraverso nel suo complesso.
In questo senso, essa costituisce un antidoto contro la propaganda di governo, sempre più amplificata dai media, e per questo va considerata come bene pubblico da preservare e custodire per il bene della democrazia.