Politica

La riforma non piace, va avanti

Senato Forza Italia preferisce l’elezione diretta, Boschi richiama al patto. Il Pd non crede più al sì entro maggio. La presidente della pima commissione vuole sostituire i sindacati ai costituzionalisti, per ascoltarli a giochi fatti

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 24 aprile 2014

Studiata come argomento da campagna elettorale, la riforma costituzionale a firma Renzi-Boschi è ormai chiaramente e per tutti fuori dalla portata del senato entro il 25 maggio. Lo è per ragioni oggettive – è il primo esame di una riforma di grande impatto sulla Costituzione – e per circostanze politiche, non avendo al momento la proposta del governo (quella cioè di eliminare l’elezione diretta dei senatori) la maggioranza in senato. La promessa renziana di approvare in prima lettura la riforma per il voto europeo deve quindi adattarsi: «Entro maggio risolveremo politicamente la questione», dice adesso il vicesegretario Pd Lorenzo Guerini. Che significa concludere l’esame del disegno di legge almeno in commissione.Impresa per la quale potrebbero bastare le due settimane effettive di lavori che la Affari Costituzionali ha a disposizione da quando sarà votato il testo base della riforma.

Secondo il piano della presidente della commissione Anna Finocchiaro, questo passaggio potrebbe esserci martedì prossimo. Ma c’è il rischio che si vada oltre, malgrado il tentativo di imporre tempi serrati. La seduta di oggi della commissione doveva essere dedicata alle audizioni dei costituzionalisti e non poteva essere troppo breve (ogni gruppo ha avuto la possibilità di indicare tre esperti da ascoltare). Ieri sera invece si è materializzata l’esigenza di sentire sul punto (il bicameralismo) il parere dei sindacati Cgil, Cisl e Uil. Rinviando a dopo i costituzionalisti, a quando cioè le scelte importanti saranno state fatte. Resta una difficoltà per Finocchiaro, che è spinta ad adottare come testo base sostanzialmente quello del governo. Che si potrebbe così correggere da alcuni evidenti «bachi» lasciati per dare la possibilità ai senatori di intervenire (i 21 di nomina quirinalizia, la sproporzione tra popolazione regionale e rappresentanti), ma senza modificarne l’impianto, che non prevede l’elezione da parte dei cittadini. La discussione in commissione è andata però nella direzione opposta, visto che la grande maggioranza degli interventi si è espressa contro l’impianto governativo, spingendo per un sistema misto che conservi l’elezione diretta (legandola al voto per le regionali) oppure prevedendo una quota di delegati regionali nell’assemblea di palazzo Madama. Per usare la sintesi del relatore di minoranza, il leghista Calderoli, in commissione il testo del governo è stato preso «a pallettoni». Finocchiaro non potrà non tenerne conto.

Ragione per cui diventa sempre più forte la pressione sui 19 senatori del Pd che hanno sottoscritto la proposta di legge alternativa, quella che insiste con l’elezione diretta ma propone un taglio dei parlamentari maggiore di quello immaginato da Renzi. Dovrebbero arrendersi al volere del governo. Il loro testo ha raccolto adesioni da altri gruppi – Sel, 5 stelle, ex 5 stelle e Gal – oltre che l’apprezzamento di Forza Italia. Rappresenta dunque un vero ostacolo alla marcia del governo, che grida al «sabotaggio». Chiti, primo firmatario, spiega invece che «proprio per approvare le riforme in tempi brevi bisognerebbe tenere conto delle sensibilità espresse dal senato, oltre che dell’impostazione del governo». Nessuno dunque ritira niente, al più un paio di firme del Pd potrebbero abbandonare la proposta Chiti.

Nello scontro interno ai democratici si inserisce Forza Italia, ricordando che se il Pd non troverà una linea comune i senatori berlusconiani sono naturalmente più inclini all’ipotesi Chiti: meglio l’elezione diretta. Sarebbe il de profundis per testo del governo, ma la ministra Boschi giura che il patto con Berlusconi regge. Tanto che la senatrice di Sel De Petris chiede di rendere pubblico quel «patto» che condiziona i lavori del senato. E mentre i 5 stelle intervengono a raffica anticipando l’ostruzionismo che faranno in aula, e gli alfaniani si schierano per lo più contro il testo del governo, il capogruppo Pd Zanda è costretto a evocare scenari da paura. «Senatori eletti direttamente riproporrebbero senza ombra di dubbio il modello di bicameralismo paritario che tutti dicono di voler cambiare» dichiara, facendo confusione tra composizione e funzioni del senato. In fondo anche così, a passo lento, la riforma costituzionale può servire a Renzi per la campagna elettorale. Strillerà, già strilla, contro i frenatori.

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